Presentato al Festival di Venezia, Lintrepido di Gianni Amelio ha diviso la stampa e il pubblico, raccogliendo applausi e fischi. LItalia della crisi e una Milano gelida e grigia fanno da sfondo alla vicenda di Antonio Pane, interpretato da Antonio Albanese, un uomo fuori moda, un antieroe che attraversa la metropoli a piedi, in tram o in bicicletta, lasciando che il mondo si prenda gioco di lui e che la vita scorra nellombra. Non ha una moglie, perché il suo matrimonio è fallito. Non ha una professione e di mestiere fa il rimpiazzo, sostituendo per poche ore, al massimo per un paio di giorni, chi non può presentarsi al lavoro. Fa loperaio, il cuoco, il tramviere, il badante. Accetta perfino di vendere le rose nei ristoranti. Afferma di non vergognarsi della sua vita, eppure non racconta alla famiglia la verità e intanto studia per i concorsi che non vince mai.

Ha un figlio, Ivo, che suona il sassofono ma non riesce a stare in un gruppo e soffre di crisi di panico prima di esibirsi. Infine, ha un debole per una ragazza, Lucia, una giovane malinconica che non riesce a pagarsi laffitto e a sconfiggere la depressione che la assedia. Lei rifiuta di parlare di sé, eppure lo cerca perché vede in lui una persona buona – una specie in via di estinzione. E quando niente sembra più avere senso, ad Antonio non resta che emigrare. In Albania.

LItalia che si affloscia, che non reagisce e che non guarda al futuro è lo spettro che si aggira nella pellicola, risucchiandone la leggerezza. Oscillando tra dramma e commedia, il film non sembra mai decollare, lasciando un senso di amarezza e di incompiuto che, in fondo, corrisponde alla vita del protagonista.

Secondo il produttore, Lintrepido è come una nuvola, cangiante, in grado di passare dal tono serio a quello ironico, ma il rischio che non riesce a evitare è lassenza di un vero spessore. Invece di snodarsi in una trama compatta, la storia procede per quadri giustapposti in cui si alternano momenti leggeri ed eventi tragici. I personaggi si muovono senza una direzione, allontanandosi dalla credibilità e dunque dallempatia. Mancando la coesione, aumenta il distacco dello spettatore mentre il protagonista si aggira in una città priva di calore, completamente aliena.

Alla fine resta soltanto l’immagine di un uomo che non si piega all’ansia di carriera, di soldi e di successo, cercando ingenuamente di mantenere intatta la dignità. Ed è questo l’elemento positivo de L’intrepido, la difesa (contro ogni logica) della trasparenza e del rispetto di sé e degli altri, il rifiuto di omologarsi e di chiudere gli occhi davanti alla sporcizia che accompagna il guadagno.

Ma dove arriva il protagonista con la sua anomala filosofia di vita? Il finale lascia un gusto amaro, un senso di insoddisfazione e di rassegnazione che forse spiega le critiche raccolte nella laguna da un film che resta incerto come un cielo grigio, in cui corrono le nuvole.