Con i suoi libri e i film, Federico Moccia ha sempre diviso il pubblico tra i fan, che si sono affannati a riempire di lucchetti i ponti di Roma, e i detrattori, che con i lucchetti hanno invece chiuso le valigie per migrare verso altri prodotti letterari e cinematografici. Diventato famoso con i teen romance, in Universitari Moccia ha deciso di ritrarre la vita – secondo lui – dei ventenni italiani, scegliendo il microcosmo di Villa Gioconda a Roma: una ex clinica che lavida padrona di casa affitta in nero agli studenti fuori sede.

Sullo sfondo della casa in rovina si muovono i personaggi del film, una carrellata di stereotipi le cui scelte finali sono prevedibili fin dal primo minuto. Emma è una ballerina di Caserta che sogna di entrare nella casa del Grande Fratello, ma in realtà nasconde un tragico passato familiare. Alessandro è un ragazzo siciliano con aspirazioni da comico, costretto dal padre a fare medicina e intrappolato in una relazione inutile con una donna sposata. Faraz è limmigrato diviso tra il desiderio di restare in Italia e una borsa di studio che lo riporterebbe nel suo Paese, impegnato a litigare (ovviamente per amore) con Giorgia, figlia di due genitori assenti, studentessa svogliata in cerca di qualcuno che si preoccupi per lei. Al contrario, Francesca ha una famiglia normale, ottimi voti e una storia damore con lassistente del professore. Peccato che lui sia sposato e padre di una bambina. A consolarla cè Carlo, aspirante regista e voce narrante, che come prova di diploma deve girare un video sulla vita universitaria e trova in Villa Gioconda un terreno fertile per le sue ricerche.

Il risultato è talmente banale e retorico da far rimpiangere Tre metri sopra il cielo. Resta impresso soltanto il concetto che, nel gruppo di amici, Carlo ha trovato una nuova famiglia, ma unicamente perché è ripetuto una decina di volte.

Poiché in libreria va di moda il genere new adult, con i romanzi provenienti dallAmerica che sacrificano stile e trama per concentrarsi sulle esperienze sentimental-sessuali dei giovani universitari, lidea di parlare dei ventenni italiani arriva al momento giusto. Il problema è che lo spunto iniziale si perde nel solito intreccio scontato, dove i temi importanti – il rapporto con la famiglia, la difficoltà di scegliere il futuro, la fiducia nei propri sogni – naufragano nella leggerezza e nei soliti espedienti narrativi, che non convincono nessuno.

La donna insoddisfatta che cerca la relazione con lo studente, l’immigrato ancora vittima di pregiudizi e lo show in cui le ragazze ballano mezze nude per raccogliere i soldi dell’affitto, rubati dalla sorellina scapestrata di Carlo. Per concludere con la solita scena della corsa in aeroporto, dove finalmente trionfa l’amore.

Non c’è ombra di realismo nella sceneggiatura, un manuale di luoghi comuni e battute scontate, prive di sottotesto, che vorrebbero passare – ma alle orecchie di chi? – come massime di saggezza. E quando le parole della canzone “Stupido” della ex cantante di Amici Alessandra Amoroso vengono recitate quasi fossero lo specchio dell’esistenza giovanile, viene voglia di tornare al cinema muto.