La storia del film cinepanettone è tutta italiana. Aforisma inventato per descrivere le pellicole comiche, facili, e dai lauti guadagni, che imperversano a Natale e non solo. Lelaborazione di un simile impianto narrativo si è raffinata, non per ricerca stilistica, ma perché il classico cinepanettone non incassava più. Ora la genesi è la seguente: raccogliere comici più o meno famosi della tv e del cabaret e fargli vivere una storia surreale. Il prologo è doveroso, tanto più se ci accostiamo a Un boss in salotto, epopea di un malvivente scalcinato, meridionale, alle prese con una convivenza impossibile: condividere pasti, divano e relazioni sociali con una famiglia del profondo Nord.

Soffermiamoci sui due attori principali, bravissimi, anche troppo. Viene da pensare che Paola Cortellesi e Rocco Papaleo attraggano con innata simpatia ciò che, nonostante loro, è mediocre fin dallinizio: un derby sgangherato di Sud contro Nord. Due maschere e stereotipi che difficilmente faranno breccia, poiché la leva del film sono le icone della rappresentazione geografica: in settentrione la gente è fredda e cè la nebbia, in meridione cè il sole e son tutti truffaldini. Un boss in salotto è stato girato con la carta carbone. Avvertirete i déjà-vu nel percorrere le peripezie della famiglia Coso e dello zio Ciro, identici destini ad altri film come Benvenuti al Sud o Giù al Nord, con gag e finale del tipo tutti vissero felici e contenti.

Per trascorrere un pomeriggio o una serata il film va più che bene, daltronde ridere di noi stessi, con i classici sfottò che gli italiani si lanciano lun laltro, rimane la chiave univoca di lettura. I luoghi comuni del meridionale (cinico, truffaldino e spontaneo) con il settentrionale (perfetto, agiato, educato) si scontrano in un mix di risate dove i protagonisti capiranno di essere completi solo se riconosceranno lappartenenza con il prossimo, meglio ancora se in contrapposizione.

Quando un camorrista va a scontare gli arresti domiciliari a casa della sorella, naturalizzata in settentrione, la vita è dura; se poi il tizio si dedica con alterne fortune al crimine, il bon ton non viene massacrato. La capacità di intrattenere il pubblico sarà compito dello zio Ciro, dellinnata ruvidezza che lo porterà a ridicolizzare i comportamenti della sorella, del paese, che lo tratterrà con sufficienza. Sarebbe stato più coraggioso per il regista Luca Miniero, provare a scavare più a fondo nel carattere di Ciro, indugiare non sui limiti ma sulle nevrosi che lessere borghese irradia, nella speranza di vivere come buoni e bravi cittadini. Zio Ciro avrebbe potuto incarnare unicona anarchica della vita, tralasciando le facili battute e la tranquillante conclusione degli affetti che superano le barriere.

Torno al prologo della recensione: il film, seppur con attori di altissimo livello, è un cinepanettone 2.0, adatto per le feste, dove si può portare la suocera, i nipotini, la fidanzata. Uno di quei titoli in cui, invariabilmente, si dimentica il cellulare acceso. Ricevere messaggi, leggere la posta, guardare internet, non inficia nella comprensione del film.

Una sceneggiatura frettolosa, eventi che galleggiano anonimi, alcune risate stile “Drive in”, fanno del biglietto che andrete ad acquistare una certezza di allegro disimpegno. Non sempre si vuole assistere a cose intelligenti, Un boss in salotto è sincero in quello che propone, fin dalla locandina. Dai primi minuti di visione, a quello che vedrete alla fine, ecco a voi una piccola commedia per dimenticare il quotidiano affanno.