Il tocco di un maestro come Scorsese unito alla la libertà di chi è arrivato a un tale livello da potersi permettere di osare al massimo. Se si aggiunge il talento di Leonardo DiCaprio e lalchimia tra attore e regista, il cocktail ottenuto con The Wolf of Wall Street non può che essere esplosivo. Lautobiografia di Jordan Belfort, emblema del capitalismo cattivo, un po un Gordon Gekko più edonista e più sregolato, è materiale succulento per il vecchio Marty, come lo chiamano affettuosamente i fan. Storia di unascesa travolgente a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta e di unaltrettanto rapida quanto rovinosa caduta dallOlimpo della borsa, sembra infatti scritta apposta per un regista a suo agio come pochi con i racconti dai toni epici e di ampio respiro che attraversano decenni, e che va a nozze con i personaggi che cedono alle tentazioni del lato oscuro (scontato ma calzante laccostamento tra Belfort e lHenry Hill di Ray Liotta in Quei bravi ragazzi).
Pur rimanendo un duro pugno nello stomaco, questa volta il racconto si fa grottesco e in più punti esilarante, con un DiCaprio più che mai istrionico e mattatore che ci guida nella folle corsa di un uomo che vuole sempre di più e convince un nutrito esercito di seguaci a pretendere sempre di più e a credere che qualunque limite morale e legale si possa, anzi si debba valicare in nome del dio denaro.
Lo spettatore non ha però neanche il tempo di indignarsi, perché viene travolto da una valanga di orge, cocaina e droghe di ogni genere, yacht e auto da corsa, parolacce a raffica, follie ed eccessi a non finire con tanto di nani sparati da un cannone solo per far divertire lufficio. Un circo in cui, se lo spettatore annaspa, non lo fa però la regia, sempre lucida e ben presente. Come ci si poteva aspettare, Scorsese evita qualsiasi moralismo senza però rimbalzare nel cinismo, fa intrattenimento spettacolare senza perdere in spessore, è grottesco ma non ridicolo, regalando un affresco potente che i più critici definiranno sovraccarico.
Le tre ore di pellicola passano senza fatica grazie alle abbondanti dosi di adrenalina che DiCaprio e Scorsese iniettano allo spettatore, ma di fondo cè la storia estremamente amara di unavidità capace di divorare tutto quanto di buono cè in un singolo uomo e nella società intera. La coincidenza vuole infatti che DiCaprio, esempio di un talento giovanissimo costruito a piccoli passi con la precisione di un cesellatore, porti in scena il talento bruciato a tempi record di un uomo a 26 anni già miliardario e a 36 a un passo dal crollo. Dietro le trasgressioni estreme, va sottolineato infatti che si cela uno straordinario talento per gli affari e linnovazione, ben visibile nella parte in cui Jordan deve inventarsi da zero dopo la crisi di Wall Street e mette su un piccolo impero di broker improvvisati.
Se nelle loro performance migliori i grandi attori lavorano per sottrazione, Leo invece aggiunge più che può, si dona alla macchina da presa con grande generosità, seppur calibrata. Ormai la questione della scarsa considerazione a lui riservata agli Oscar è inflazionata, quel che conta è che, proprio come Scorsese alla regia, non cerca mai il compiacimento di pubblico e critica, non insegue l’interpretazione confezionata ad arte per l’Academy, ma la perfetta mimesi con il personaggio. Anche il cast di contorno si comporta bene e su tutti merita una citazione Matthew McConaughey, perfetto (e trasformato) nei panni di un guru di Wall Street a cui è affidata la folgorante spiegazione in sintesi del mondo della speculazione finanziaria in cui tutto è evanescente o, per usare un termine contemporaneo, fuffa.
Come tutti i film di Scorsese e come tutte le opere senza mezze misure, The Wolf of Wall Street non può e non deve piacere a tutti, anzi, accentrando simpatia verso un personaggio spregevole dividerà e farà discutere. Grazie al cielo.