Con lautunno, arriva al cinema una nuova trilogia a cavallo tra fantascienza e distopia, tratta da un romanzo di James Dashner e rivolta al pubblico adolescente. Dopo Divergent, gli amanti del genere sono invitati a entrare nel mondo di Maze Runner, diretto da Wes Ball e ambientato in un mondo altro, un labirinto in cui il protagonista è intrappolato. Quando apre gli occhi, Thomas (Dylan OBrien) intorno a sé vede un campo delimitato da mura imponenti e un gruppo di coetanei curiosi. Sono arrivati tutti dal basso, catapultati in questo luogo da un ascensore chiamato The Box e privati dei loro ricordi.

Una premessa che fa scattare due domande: che cosa ci fanno qui? E come possono fuggire? Durante il giorno, nella radura in cui vivono i ragazzi, si crea un varco, attraverso il quale alcuni runner possono esplorare il labirinto e cercare una via di fuga. Al tramonto, tuttavia, la porta scompare, intrappolando le vittime per sempre. Costretti a convivere, i giovani prigionieri devono formare una sorta di famiglia-società con le sue regole e i suoi problemi, basata su un delicato equilibrio che rischia di infrangersi ogni volta che arriva qualcuno di nuovo. Lingresso di Theresa, lunica ragazza, sconvolge lordine sociale, anche perché sembra esistere una strana connessione tra lei e Thomas. Sono loro a comprendere che, per avere la possibilità di scappare, è necessario entrare nel cuore del labirinto.

Maze Runner mette in scena dei protagonisti smarriti, confusi, naufraghi come i personaggi di Lost ma alle prese con la ricerca del passato, invece che con il suo superamento. Lassenza di una backstory conduce inevitabilmente a concentrarsi sul presente, sulle relazioni, le scelte immediate e le reazioni agli eventi. Il tema dellidentità è un classico nelle storie adolescenziali e Maze Runner ne sfrutta le potenzialità, scegliendo di mettere al centro della vicenda un gruppo giovane destinato a formare una comunità nuova, con valori e regole da seguire o a cui opporsi.

Si ravvisano somiglianze con Il signore delle mosche, dove i personaggi, isolati dal mondo civile, sono messi a contatto con le paure ancestrali, ma allo stesso tempo si avverte la mancanza della complessità tematica che caratterizza il romanzo di William Golding.

Il film, in effetti, procedendo attraverso scene d’azione (e tensione) più o meno riuscite, imposta e costruisce un mistero, rimandando di continuo le spiegazioni. Il finale non è risolutivo: rilancia le domande, piuttosto. Si accumulano spunti non sviluppati, promesse non mantenute, con il duplice effetto di incuriosire e di lasciare insoddisfatti. L’idea è interessante, ma resta l’impressione che manchi qualcosa, un livello di profondità in più in grado di rendere la storia memorabile.

Ancora aspettiamo di capire il significato nascosto nel labirinto, nell’intera vicenda e nel passato dei ragazzi. Bisognerà vedere se i capitoli successivi sapranno offrire uno sviluppo e una risoluzione in grado di dare al prodotto un autentico respiro universale e allegorico.