Da almeno 10 anni si paventa la rinascita del noir e del cinema di genere in Italia, non solo in ambito underground, ma soprattutto nella distribuzione ufficiale, quella che esce in sala. Al di là di qualche sporadico alfiere (il classico Argento e i moderni Manetti), manca un sistema: che forse – grazie al successo di romanzi criminali, gomorre e affini – comincia a formarsi. Specie nellultimo anno, foriero di un buon numero di neri e thriller di discreto livello. Tra questi troviamo anche La foresta di ghiaccio, opera seconda di Claudio Noce (Good Morning Aman).

La storia vede protagonista un giovane tecnico inviato in un paesino innevato al confine con la Slovenia per riparare una centrale elettrica. Ma intorno a quella centrale ruota un segreto e la sparizione improvvisa delluomo che accompagnava il ragazzo metterà lui e una poliziotta sulla stessa strada.

Scritto da Noce con Elisa Amoruso, Francesca Manieri e Diego Ribòn, La foresta di ghiaccio (in sala dopo la presentazione al Festival di Roma) è un thriller nero, dalla struttura western e dalle ascendenze scandinave – non solo per lambientazione ghiacciata – che oltre a mettere in piedi una storia cupa e intricata come il cinema italiano non fa spesso, pone locchio anche sul confine per utilizzare, finalmente, i luoghi e le loro problematiche (in questo caso il traffico di esseri umani) come materiali narrativi che diventano quindi sguardi sul mondo.

Piuttosto che utilizzare il noir come pretesto per il dramma sociale e limpegno civile, sminuendo quindi la componente narrativa, Noce fa lopposto, ovvero parte da elementi sociali e culturali e li rende un noir piuttosto intrigante e avvincente, con i colpi di scena e gli spiazzamenti al posto giusto, e allo stesso tempo dà spessore ai personaggi, coadiuvato da un gruppo di attori efficaci con la presenza gigiona di Emir Kusturica.

Così La foresta di ghiaccio è uno di quei film in cui finalmente si sente la voglia di fare cinema per il gusto dellimmagine e del racconto, che scivola su snodi narrativi e preziosismi registici, ma ha voglia di mostrare al pubblico qualcosa che si un po più di unillustrazione, qualcosa che affondi nella terra (in questo caso nella neve) e che provi a renderlo bello, appassionante.

Non è un’operazione facile, né del tutto riuscita, ma è interessante e va incoraggiata, soprattutto per far notare che nonostante i luoghi comuni e le pigrizie culturali dell’industria e dello spettatore cinematografici, un altro cinema in Italia si fa, per qualità o tipologia: basta solo saperlo individuare, senza lasciarlo scivolare via.