Forse è fin troppo facile pensare a The Millionaire parlando di Trash, il nuovo film di Stephen Daldry vincitore del Festival del Film di Roma e da poco nelle sale. Eppure è inevitabile sia per il tipo di ambientazione, gli slum e le favelas, per i personaggi, ovvero ragazzini alle prese con molti soldi, e per lo sguardo in cui un regista britannico cerca di ricostruire con malizia folkloristica la povertà del Terzo mondo. Ma a Daldry non riesce il colpo di furbizia che fruttò a Boyle gloria, Oscar e milioni e deve accontentarsi delle briciole.

La storia ha per protagonisti un gruppo di ragazzini di strada in Brasile che trovano nella discarica in cui lavorano un portafoglio pieno di soldi e con dati segretissimi, gettato via da un uomo politico. Questo li metterà in pericolo visto che quei dati nascondono le prove di un complotto politico che coinvolge lintera città di Rio de Janeiro: ad aiutare i ragazzi un prete missionario (Martin Sheen) e una volontaria (Rooney Mara) nella struttura in cui i tre abitano.

Scritto da Richard Curtis e Felipe Braga da un romanzo di Andy Mulligan, Trash è un thriller politico e sociale che parte come una fiaba educativa e vira poco a poco nel racconto sovversivo, senza però capire bene quale strada prendere, soprattutto dal punto di vista della regia. Lobiettivo del racconto di Mulligan è evidente: raccontare la corruzione dilagante del Brasile attraverso un film davventura infantile in cui i contenuti più impegnati potessero amalgamarsi con una costruzione narrativa avvincente.

Esperimento facile e un filo pretestuoso, ma sostanzialmente riuscito, che Daldry, pur servito da un grande sceneggiatore come Curtis (autore di Quattro matrimoni e un funerale e I Love Radio Rock), non riesce a tradurre in modo concreto: dapprima edulcora la povertà e le tremende condizioni del sotto-proletariato tessendo il racconto con i fili della favola, per non turbare troppo la coscienza dello spettatore, e forse anche degli autori, e poi, nellultima mezzora, simpegna a pigiare sullacceleratore della protesta, dei sotto-testi e dei contenuti, cercando di tirare in ballo tutte le storture del sistema brasiliano facendo diventare i ragazzini portavoce di una rivolta. Ma anche qui non va fino in fondo, come il finale ambiguo conferma, ripiegando su una fiaba di sapore capitalista.

In questo andirivieni di intenzioni che dal punto di vista “morale” sono quanto meno discutibili, come lo sguardo colorato e patinato di Daldry più affine al turismo etico che al cinema, Trash perde per strada la narrazione, la compattezza di vicende e personaggi che svaniscono in un meccanismo inerte, in cui l’avventura non sembra davvero mai portare a nulla, dal punto di vista dell’emozione o della riuscita filmica.

Certo, tutto è “quasi” al suo posto, immagini, storie, attori funzionano e compiacciono il pubblico che a Roma infatti lo ha premiato, ma la mancanza di profondità a vari livelli, anche solo quello dell’intrattenimento in grande stile, impediscono al film di Daldry di superare la prova del ricordo: The Milionaire, per quanto soffrisse degli stessi difetti di questo, aveva un’energia, una vitalità di immagini e una voglia di giocare con il cinema che qui latita del tutto e che di sicuro non darà a Daldry gli Oscar e la gloria del suo collega.