Fare un film di genere è difficile. Una sola scena sbagliata e il tutto crolla come un castello di carte. Queste, parafrasando, le parole del produttore, condivise dal regista Gabriele Salvatores e dal resto del cast presente allanteprima. E sin dal trailer e dalla locandina si capisce come Il ragazzo invisibilevoglia essere proprio quello: un film di genere – supereroistico, o cinefumetto che dir si voglia – come non si è mai visto in Italia. 

Messi da parte ragni in calzamaglia e improbabili guardiani della galassia, Salvatores & co. hanno deciso di puntare su un ragazzo come tanti, Michele, che da ragazzino sfigatello e bullato scoprirà di poter diventare invisibile. Solita storia, da grandi poteri derivano grandi responsabilità, e Michele finirà per essere invischiato in vicende ben più grandi di lui. Il tutto ambientato in una Trieste fredda e fuori dal mondo, che regala alcuni degli scorci più suggestivi della pellicola. 

La scelta, tra tutti i superpoteri possibili e immaginabili, dellinvisibilità, oltre a rispondere allesigenza di starci dentro con budget non allaltezza di quelli hollywoodiani, è anche una vera e propria dichiarazione di poetica: si tratta di un potere antispettacolare, in linea con la volontà, da parte degli sceneggiatori in primis, di creare un film riflessivo, in controtendenza rispetto a saghe come X-Men, a cui pure si ispira. 

E infatti Michele, coerentemente con il suo essere quattordicenne medio, fa quello che qualsiasi quattordicenne appena scopertosi invisibile farebbe: si vendica dei torti subiti, origlia conversazioni e si intrufola nello spogliatoio delle ragazze per spiare in segreto la ragazza per cui ha una cotta, Stella. E la cosa divertente, almeno nella prima parte del film, è che per essere invisibile Michele deve essere completamente nudo. Cosa ovvia e perfettamente logica, ma che il più delle volte nei film ad alto budget hollywoodiani viene trascurata, per arrivare, ora e subito, alle scene dazione. 

Lironia un po surreale che si respira quando Michele gironzola nudo tra i compagni di scuola, ancora incapace di controllare i propri poteri viene ahimè a perdersi nella seconda parte, più incentrata sullo sviluppo della trama e su unazione allacqua di rose. Ed è un peccato, perché se come teen drama è efficace e ben fatto, è proprio quando Salvatores cerca di dare al film una svolta più hollywoodiana e action che si perde in un bicchiere dacqua. O meglio, rimane apprezzabile come avventura con tocchi fantasy a la Goonies, ma non riesce a darsi quel tono epico e scanzonato che il genere supereroistico esigerebbe. 

Nemmeno il cattivo – non spoilero, ma le virgolette sono dobbligo – non riesce a essere pienamente cattivo. Si tratta di un ruolo non facile, ambiguo, interpretato ottimamente da Fabrizio Bentivoglio; nonostante ciò, però, non riesce a essere veramente minaccioso. La stessa organizzazione che, sulla scia degli X-men, cerca di rinchiudere tutti gli speciali, tra cui lo stesso Michele, manca del fascino tipico del villain supereroistico. A questo proposito, almeno, fa ben sperare la scena dopo i titoli di coda, che, seguendo londa Marvel, condensa in un minuto scarso una raffica di anticipazioni e colpi di scena, presentandoci un villain ben più carismatico. 

Il film naviga costantemente tra ambientazioni e situazioni care al cinema italiano e omaggi più o meno velati al cinema statunitense, da Kubrick a Spielberg. E così i quartieri di Trieste si popolano di fatiscenti empori cinesi; la festa di Halloween diventa occasione di un megaparty all’americana ben lontano dalle nostrane festicciole, in un pastiche postmoderno di tutti i cliché che Salvatores & co. (e in realtà tutti noi) hanno assorbito dal cinema d’oltreoceano. Mossa azzardata ma vincente, che ripaga con efficaci suggestioni visive ciò che viene perso in termini di mero realismo. 

È ormai conclamata la volontà di creare attorno alla pellicola un universo espanso, fatto di romanzi, fumetti e, budget permettendo, sequel. Lo sta già facendo la Marvel, riscuotendo un successo senza precedenti. La vera differenza è che, mentre i film Marvel si rivolgono a un pubblico il più possibile vario ed eterogeneo, ma comunque identificato con quella schiera di young adults che cercano un buon mix di ironia e mazzate, il pubblico di riferimento de Il ragazzo invisibile risulta potenzialmente molto più ridotto, e non solamente perché è stato distribuito in Italia piuttosto che negli States. Troppo poco action per attirare i ragazzi cresciuti a pane e Superman, troppo poco “cattivo” per fare gola a chi ha apprezzato il cinismo di Kick Ass Super. Sembra un film rivolto, più che ai ragazzi, ai genitori, che in esso possono leggere (e condividere) una certa visione paternalistica e “spielberghiana” dell’infanzia. 

L’eventuale sequel, che a detta degli sceneggiatori dovrà essere “più dark”, potrebbe dare una svolta positiva al brand. Ora come ora, però, Il ragazzo invisibile è solo un film discreto che soccombe sotto il peso delle aspettative e dell’inevitabile confronto con l’Oltreoceano.