Quasi cinquantanni dopo il suo primo “San Francesco”, Liliana Cavani sceglie di rivisitare la vita del santo da cui ha preso il nome Papa Bergoglio. Nel mentre una carriera costellata da bellissimi film dautore da “La Pelle”, tratto dal doloroso romanzo di Curzio Malaparte allaffascinante ed enigmatico “Il gioco di Ripley” con il grande John Malkovic passando per il Francesco del 1989. Lunedì 8 e martedì 9 dicembre ritroveremo su Rai1 la regista modenese alle prese con la sua terza incursione nella vita di San Francesco. Liliana Cavani ci ha spiegato di averlo ritenuto quasi indispensabile: “Oggi siamo di nuovo in unera di conflitti armati, ideologici e con tutta evidenza religiosi. Questo genera confusione e smarrimento tra le persone“. Le differenze tra le tre versioni della vita del sangue vanno di pari passo con il periodo storico in cui ha deciso di raccontarle ma il fils rouge rimane immutato: “Ogni volta, nel 1966 con il primo Francesco, nel 1989 il secondo con la caduta del Muro di Berlino, ed oggi di nuovo si affaccia prepotente la necessità di esempi, di trovare figure capaci di parlare ancora alla nostra contemporaneità. Una ulteriore spinta me lha data la lettura di un saggio su Francesco scritto dal medievalista francese Paul Sabatier“.

Che tipo di rapporto ha instaurato con la produttrice Claudia Mori, quanto vi siete confrontate sul progetto? Le è capitato di parlare anche con suo marito Adriano Celentano?

E stato un rapporto fertile con una gestazione lunga e a tratti faticosa per mettere insieme tutti i pezzi di una produzione abbastanza complessa. E naturalmente, in quasi due anni dallideazione del progetto, abbiamo dovuto confrontarci con Rai Fiction che è il braccio produttivo della RAI la quale poi colloca i film nei suoi palinsesti. Ma con Claudia Mori siamo ormai in rapporti da lungo tempo: abbiamo fatto insieme De Gasperi, Einstein ed un episodio di una quadrilogia sulla violenza alle donne. Con Celentano non ho mai avuto nulla a che fare.

Esiste oggi il rischio di una lettura esclusivamente ideologica e sociale della figura di San Francesco?

Io sono di formazione familiare molto laica ed anche la cultura su cui sono cresciuta, gli studi, le esperienze artistiche non hanno impronte di carattere religioso laddove pure mi sia occupata di figure dal carisma spirituale come il Milarepa o i vari San Francesco.

Il suo film parla dell’ “uomo” o dell’ “uomo di fede”?

Questo Francesco che vedremo lunedi e martedi è un uomo di profonda ispirazione spirituale, che sa parlare all’ anima della gente, del popolo che soffre, che spesso arranca. Lui è “un uomo di parola”, diciamo che sa interpretare e trasmettere il verbo evangelico, ma è pure un esempio di homo oeconomicus che guarda con partecipazione ai bisogni soprattutto degli ultimi, al dramma della povertà, ai problemi del progresso e della crescita sociale. Lui ci impone di ripensare al concetto di sviluppo, una attualità testimoniata anche dall’esempio di un recente fortunato saggio di Serge Latouche, La decrescita felice, che si richiama ad un movimento culturale di carattere economico e sociale consolidatosi negli ultimi anni.

Quanto è stato influenzato il progetto dall’idea che il nuovo Papa ha proprio il nome di questo santo?

Molti di questi punti sembrano ispirare anche la linea ed il comportamento del nuovo Papa, uno che sa e vuole seguire il magistero della dottrina cattolica mettendo sempre al centro i bisogni degli ultimi della terra, il controllo dello sviluppo tecnologico, l’etica dietro, o avanti che sia, ad ogni scelta sociale, educativa, uno che sa dialogare ma pure tuonare contro i potenti della terra, riconosce l’importanza del confronto sui diritti civili e del dialogo inter religioso. Capisco perché abbia scelto di chiamarsi Francesco.

 

(Franco Vittadini)