Se nella notte degli Oscar i fari in Italia saranno tutti puntati su Paolo Sorrentino e La grande bellezza, la gara sarà probabilmente dominata da Steve McQueen (il suo 12 anni schiavo conta su ben nove nomination), regista quarantacinquenne inglese già conosciuto e amato per Hunger (2008) e soprattutto Shame (2011). Dopo due opere provocatorie, intimiste e senzaltro originali, con 12 anni schiavo McQueen vira verso il racconto storico dallimpianto più classico (anche più acchiappa-oscar, si potrebbe malignamente leggere tra le righe), ma in cui ancora una volta dolore e oppressione impregnano il tessuto dellopera.

Tratto dallautobiografia omonima, il film ci conduce attraverso lodissea infernale di Solomon Northup, uomo libero, musicista, marito e padre amorevole che nel 1841 viene rapito nello Stato di New York, torturato e venduto come schiavo. In una storia in cui per natura ci sono poche sorprese, giocano un ruolo fondamentale gli incontri di Solomon, con padroni a volte umani a volte crudeli fino al sadismo, o con anime sventurate come la sua, fra tutte la schiava Patsey.

Gli estimatori dello stile particolarissimo di McQueen potrebbero rimanere delusi da questo filmone di durata smisurata, che rispetto al passato lascia sicuramente meno spazio di manovra alla creatività del regista. A guardare bene, però, dietro una sceneggiatura solida ma tradizionale McQueen riesce ugualmente a lasciare la sua personale impronta visiva. In questo senso rimarrà memorabile la scena della tentata impiccagione di Solomon, statica come un quadro in cui il silenzio interminabile e assordante è rotto solo dal fruscio dei piedi inerti delluomo sul terreno.

Lo stile del cineasta britannico si percepisce anche in numerosi dettagli, come le canzoni degli schiavi che continuano a risuonare incessantemente nel corso delle scene, ma soprattutto nello sguardo insistente e a tratti ossessivo sullo strazio dei corpi e sulla sofferenza umana, che diviene disturbante e insopportabile per lo spettatore come per i personaggi.

Della parata di star coinvolte, che comprende tra gli altri Benedict Cumberbatch, Paul Giamatti, Paul Dano e una comparsata finale di Brad Pitt, solo la prova di Michael Fassbender, straordinario nei panni di uno schiavista follemente sadico, rimarrà veramente impressa. La scena è però quasi interamente dei due protagonisti Chiwetel Ejiofor (Solomon) e Lupita Nyong’o (Patsey), in grado di comunicare una sofferenza sempre credibile e toccante, senza mai scivolare nel patetico.