Scritto e diretto da Peter Berg, il regista di The Kingdom, Lone Survivor intende mostrare al pubblico americano e internazionale ciò che i media non svelano, cioè cosa succede davvero ai soldati in Afghanistan, come combattono, come muoiono. Il film ripercorre una storia vera, la tragica missione dei Navy Seals in Afghanistan raccontata dallunico superstite, Marcus Luttrell, autore del libro a cui Berg si è ispirato.

Nel giugno del 2005, nella base aerea di Bagram, lufficiale Erik Kristensen istruisce gli uomini mandati in ricognizione sulle montagne, nei pressi del villaggio dove il capo talebano Ahamad Shah, responsabile della morte di numerosi Marines, si è rifugiato. Marcus, Mickey, Danny e Axe si inoltrano nella foreste, dove attendono, nascosti, nuovi ordini. Ma allimprovviso sulla loro strada compare un gruppo di pastori, un imprevisto che mette i soldati americani di fronte a un dilemma: ucciderli, lasciarli legati ai tronchi degli alberi, o liberarli, nella consapevolezza che faranno le spie? Ostacolati dalla difficoltà di comunicare con la base, Marcus e gli altri scelgono la terza opzione. Poco dopo, si trovano accerchiati dai talebani e comincia una dura lotta per la sopravvivenza.

Attraverso una galleria di immagini e una serie di inquadrature ricercate, Berg descrive lorrore dei soldati in trappola, il dolore delle ferite e la paura della morte. La telecamera indugia sul sangue e sugli sguardi terrorizzati dei protagonisti, lasciando emergere le emozioni esaltate dallottima performance degli attori Mark Wahlberg, Emilie Hirsch, Ben Foster, Taylor Kitsch. Scegliendo di concentrarsi sui volti e sui dettagli, il regista sfrutta il paesaggio in modo simbolico e rappresenta una foresta soffocante e claustrofobica, che si stringe intorno ai soldati condannati alla tragedia.

Pur evitando i ragionamenti politici nei dialoghi, il confine tra buoni e cattivi è tracciato in maniera netta. I talebani rappresentano il Male, il Nemico crudele e spietato senza possibilità di redenzione. Volti che si confondono, privi di personalità, portatori di morte e di violenza. I soldati accerchiati, al contrario, pagano la scelta di avere lasciato liberi i pastori e subiscono la fatale interruzione dei contatti con la base.

Il manicheismo è riscattato dalla parte ambientata nel villaggio, la sequenza più toccante del lungometraggio. L’unico sopravvissuto è salvato dagli afghani che, seguendo un’antica tradizione di ospitalità, gli danno da mangiare, curano le sue ferite e lo difendono dai talebani. In mezzo all’orrore della guerra esistono ancora le regole alla base dell’umanità, un codice di valori tacitamente condiviso da entrambi gli schieramenti, la fiducia nella solidarietà. La guerra, qualsiasi guerra, è contraria al senso profondo dell’esistenza. La violenza è la negazione del diritto alla vita, del rispetto per l’altro, dell’amore.

Peccato però che la pellicola di Berg riveli delle “cadute” che disturbano lo spettatore e rischiano di depotenziare il messaggio. Gli elementi che avevano dato spessore a una storia come Zero Dark Thirty non sembrano emergere in Lone Survivor, che indugia troppo nella prima parte e rischia di sconfinare nel virtuosismo tecnico e nella retorica. È difficile rappresentare una ferita ancora aperta, e il film ne è la dimostrazione.