UnItalia contadina, misurata, candida, viene scoperchiata da unaltra nazione, allapparenza sempre Italia, costituita da cafoni, da arricchiti, da un manipolo di cinici senza cuore. Facile puntare il dito su chi non ce la fa, su chi non riesce a conformarsi, i veri mostri sono gli arricchiti, i ricchi, o peggio, coloro che pensano di esserlo. Guai a giudicare Umberto, professionista in una Milano super competitiva, lui è convinto di avercela fatta. Ce la mette tutta per convincersi. Coloro che dovrebbero essere giudicati, secondo Umberto sono altri: i disoccupati, i poveri, le vittime della crisi. Peccato che il destino cinico e baro, lo porti pian piano nella zona grigia del sistema, dove anche lui così brillante e loquace, finirà per essere rottamato.



La gente che sta bene è uninteressante pellicola di Francesco Patierno che rappresenta con intelligenza la morale stritolata dalla competizione, rivolta contro gli altri e inevitabilmente contro se stessi. Perché se vogliamo, Umberto ce la mette tutta nel conformarsi alla upper class, ma è sempre sconfitto, dimostrando come sia semplice perdere una partita che non sa amministrare. Con innumerevoli chance e campi di gioco, perde su ogni fronte: con la moglie, nel rapporto con la figlia, con i colleghi.



Il personaggio di Claudio Bisio ricorda il tratto di un film memorabile, I mostri di Dino Risi, quelle figure-tipo irreggimentate nella propria follia, che impietosamente caratterizzano le nevrosi delluomo comune. I mostri siamo noi: sarà per quellansia di moltiplicare (difendere) soldi e status? Cosa rende parole come felicità e benessere prive di significato, nonostante ci sforziamo di apparire vincenti?

La gente che sta bene è lo spaccato di unesistenza ironica, divertente ma al contempo tragica. lupper class (presunta tale) che respira con il fiatone, non perché non arriva alla fine del mese, ma perché ha paura di interrompere la corsa, trovarsi davanti allo specchio. Vedersi infelici, oltre che stravolti dalla fatica, è veramente troppo. Essere facoltoso o il timore che il vicino ostenti più di noi, sembra questa la passione che accomuna i personaggi-chiave del film. un malessere che si infrange in una risata: oltre che commedia, fa riflettere laggressività che permea il mondo degli affari.



Il modo di dire americano “competition is competition” sta a siglare il tacito accordo che nel lavoro tutto è permesso, dallo scavalcare il prossimo a “fargli le scarpe”, con la conclusione di come La gente che sta bene sia sola e solitaria, dovendosi sforzare di recitare sempre la parte dei vincenti.

Potrebbe essere interessante, se il film avrà l’attenzione che merita al botteghino, costruire un secondo capitolo, anche con nuovi personaggi. Ritengo che il diktat del “edonismo del successo” sia pronto per essere dissacrato, denudato dalle mille bugie che l’hanno innalzato a parabola della “vita migliore da essere vissuta”. Umberto è l’apice della destrutturazione di questa favola. Il suo sguardo cinico, il gesticolare scomposto, lo rendono un eroe sconfitto della società.

Lui vorrebbe essere un grande, ma è l’ennesima vittima della crisi, non lo dice a nessuno, non lo dice a se stesso, ma è il prodotto scartato del modernismo. Avanti un altro, “rien ne va plus”.