meglio mettere sullavviso scalatori, arrampicatori e amanti delle passeggiate in montagna, molti dei quali hanno perso (è proprio il caso di dirlo) il senso della misura, visto che affronterebbero magari non gli ottomila, ma i quattromila di sicuro, con la stessa naturalezza di una scampagnata fuori porta con la moglie: anche voi, malcapitati scalatori di scale mobili, inetti montanari della domenica, poveri arrampicatori di qualsiasi sasso vi capiti a portata di scarpone e picozza, casomai vi fosse sfuggita la notizia, sappiate che dal prossimo aprile quanti tra voi tapini vorranno stoltamente cimentarsi con una qualsiasi delle quattordici vette dellHimalaya, tante sono infatti quelle sopra gli 8mila metri, beh sappiate che sarà obbligatorio riportare a valle almeno otto chili di spazzatura a testa, raccolta qua e là sul tetto del mondo.

La novità, rilanciata dalle principali agenzie giornalistiche, è stata ripresa qui in Italia da vari organi di informazione, tra cui la rivista di montagna per sole alpiniste donne Ottomila marzo, che ha plaudito alla svolta ecologista del Governo del Nepal, il quale ha stabilito che, dora in poi, ogni spedizione dovrà prevedere almeno una alpinista donna, preferibilmente una suocera. Il motivo è semplice: affidarle il compito di coordinare e comandare lo stuolo di sherpa addetti alla raccolta differenziata. Perché, dora in poi, le spedizioni dovranno prevedere un sacco di sherpa, o meglio, numerosi sherpa con sacco. Differenziato. Avremo perciò sherpa di tutti i colori: giallo per la raccolta della carta, nero per il residuo, verde per il vetro, il marrone per lumido, trasparente per la plastica.

E come sarà lo sherpa trasparente? Il governo del Nepal si sta facendo dupal così per dirimere la questione! Questa trasformazione degli sherpa, da semplici portatori dalta quota a coloratissimi operatori ecologici, ha attirato lattenzione degli stilisti di tutto il mondo, ovviamente interessati al business, perciò ben disposti a disegnare le nuove tute degli sherpa.

Il più lesto di tutti (pensate un po che ossimoro ci siamo inventati) è stato però Valentino, uno stilista che nel mondo dellalpinismo è sempre stato visto di buon occhio, perché, come si sa, in montagna si sale piano piano! Sarà perciò il nostro Garavani nazionale (questo è il suo cognome, NdR) a curare il look degli sherpa con nuovi capi dabbigliamento, la cui linea dovrebbe prendere il nome di T-Sherp. Composto da pile aderente, windstopper a doppio strato per uso invernale, giacca a vento in Goretex, pantalone e camicia pesanti, tutti questi capi conserveranno le caratteristiche classiche, adatte per luso in alta montagna.

Un tocco di indispensabile ma utilissima eleganza made in Italy consisterà nella cosiddetta himayala (che deve il suo nome proprio allassonanza con Himalaya), una specie di corda molto robusta, che, come indica il nome, ricorda il codino dei nostri suini, appositamente studiata per le cordate. Legata ai fianchi e fatta penzolare sul fondoschiena, permetterà a chi la impugna di non perdere contatto durante, per esempio, una tormenta di neve, e mantenere il riferimento di chi segue.

Vero è che tutta questa attenzione mediatica ha messo giustamente in risalto la figura degli sherpa, che qui da noi ha sempre esercitato un grande fascino. Reinhold Messner, per esempio, più volte ha citato nelle sue memorie uno sherpa di grande statura, di grande rigore morale, assai agile, e perciò grande faticatore, dal fisico solo apparentemente esile, che era solito chiamare “altissimo, purissimo, levissimo”. E ancor prima, negli anni ‘70, il nostro Massimo Ranieri vinse Canzonissima nel 1972 con la canzone “Sherpa di casa mia”, un melodico e struggente inno agli scugnizzi che, con notevole spirito di intraprendenza, facevano da guida ai numerosi turisti-visitatori del Vesuvio. Ma non tutti gli sherpa, comunque, si sono rivelati remissivi e servizievoli. Esiste infatti un’etnia di sherpa molto viscida e insidiosa, che mal si adatta ai comandi e alle spedizioni troppo numerose, chiamata sherpenti.

Tutto questo interesse per una figura dai contorni mitici, ci solleva una domanda: dove deriva il termine sherpa? Ci siamo, come al solito, fatti aiutare dallo Zingarelli, un vocabolario che sa molte cose perchè le ha rubacchiate qua e là per l’Himalaya, ancor prima che fosse obbligatorio portarle giù per legge: “Lo sherpa è così definito perché, in genere, compie alcune azioni fondamentali legate all’arrampicata: prima shevera le informazioni, indi sheglie il percorso, è abile a shemare se all’improvviso il tempo peggiora, e a tornare sulla shena al riapparire del sereno; alla fine, preferisce farsi pagare in shellini. Gli sherpa sono di religione indù: infatti sono soliti viaggiare in coppia. Allenatissimi, di grande forza fisica, sanno perfettamente come non finire mai in ipossia.

Il segreto sta tutto nell’alimentazione. Gli sherpa infatti mangiano il tipico piatto nepalese “KiteKatmandu”: una specie di purea, dal sapore intenso, ricca di sostanze nutritive, vitamine, proteine e minerali. L’aggiunta di olio di girasole garantisce allo sherpa il mantenimento di una cute sana e di un cuoio capelluto lucido. KiteKatmandu è energia gustosa anche per il gatto (delle nevi). Si aggiunga che gli sherpa, durante le lunghe scalate, sono soliti succhiare dei tipici prodotti locali, di sapore dolce e al contempo ricchi di energia: caramelle di forma sferica, incastonate, per così dire, su di una minuscola racchetta da sci, chiamate Shurpa-shups.

Attenzione, invece, alla voce sherpa, se usata come sostantivo femminile. In Nepal, il termine femminile sherpa non esiste. La “sherpa”, ci ricorda il nostro Zinga “indica, il modo, invero dialettale, con cui a Bari viene nominato un accessorio di abbigliamento costituito essenzialmente da una fascia di tessuto di una certa larghezza, indossato intorno al collo o vicino alla testa, per coprirsi dal freddo, per eleganza o per motivi politici o religiosi”.

Un fitto e tremendo mistero avvolge il mondo degli sherpa. Alcuni documenti risalenti al secolo scorso, indicano sine ulla dubitatione che un consistente gruppo di sherpa si trasferì, in cerca di miglior fortuna, in Africa. Di loro non si seppe più nulla per molto tempo e solo una ventina di anni fa, i loro resti, con evidenti segni di antropofagia (a detta degli esperti), furono ritrovati ai piedi di una grandissima montagna in Tanzania. Le indagini non condussero mai a nulla. Ma allora, la domanda sorge spontanea: Kilimangiaro? Il mistero continua…