CLICCA QUI PER LE ANTICIPAZIONI DE LE MANI DENTRO LA CITTÀ – Dopo il buon esordio di settimana scorsa, Le mani dentro la città torna questa sera con la seconda puntata. Vedremo proseguire le indagini di Viola Mantovani e Michele Benevento, mentre i Marruso cercheranno di capire chi ha commissionato l’attentato al boss Carmine. All’orizzonte molti colpi di scena, come racconta in questa intervista il regista Alessandro Angelini, che ci spiega anche le peculiarità della serie che la rendono diversa da altre fiction poliziesche viste anche recentemente in tv.



Non è certamente la prima volta che il tema della criminalità viene affrontato da una fiction (lei stesso ha diretto con Alexis Sweet Il clan dei camorristi). Cos’ha di diverso Le mani dentro la città?

Di diverso c’è che stiamo raccontando una pagina ancora non completamente scritta. Ne Il clan dei camorristi, per esempio, abbiamo riportato un capitolo della storia italiana, dal terremoto dell’Irpinia (nel 1980) al 1988, parlando di fatti accaduti e giudicati dai tribunali, come gli accordi tra la malavita e le industrie del nord circa lo smaltimento dei rifiuti. Un tema di stretta attualità – visto quanto sta accadendo nella Terra dei fuochi -, ma che si può giudicare con una certa distanza storica, forti del peso degli anni.



Questo, invece, è un racconto in presa diretta?

Esattamente, ed è una differenza sostanziale. Le mani dentro la città parla di qualcosa che sta accadendo oggi, un qualcosa di cui nessuno riesce a valutare la portata e i confini. Un fenomeno contagiante, parte integrante di una società e di un’economia sana sporcata da traffici illegali. E di questo sentivamo il peso nel corso delle riprese: ci sono state varie stesure di sceneggiatura perché ci siamo resi conto che ovunque andassimo a toccare c’era sempre qualcosa da approfondire. Spesso la realtà supera la fantasia anche in fatto di malaffare; per questo il rapporto con gli sceneggiatori è stato costante. Raccontiamo, al presente, le due anime della ‘Ndrangheta: quella un po’ più arcaica, fatta di codici, legami di sangue inscindibili e ritualità; e quella moderna incarnata dalla velocità della finanza che con un clic sposta ingenti capitali e ricicla soldi.



Venerdì scorso i telespettatori hanno visto la prima puntata, cominciando a conoscere i personaggi. Cosa devono aspettarsi per le prossime puntate?

Molti colpi di scena…e qualcuno si è già intuito. La cosa importante di questa serie, rispetto alle altre, è il fatto che l’attenzione è incentrata sugli esseri umani e non sui personaggi. Questi ultimi hanno bisogno di battute e di linee scritte per esprimersi, mentre gli esseri umani comunicano stati d’animo anche con gli sguardi e la gestualità. In questo sono stati davvero bravi gli interpreti. Sono sempre molto umani, molto credibili. È per questo che emozionano. 

Infatti, i “buoni” sembrano portarsi dietro fragilità e ferite del passato: un’immagine diversa da quella dei “super-poliziotti” di altre serie. È solo un’impressione o è una scelta voluta?

Non solo i buoni, tutti. L’attenzione (voluta) che abbiamo avuto è stata quella di mettere al centro la persona, sia nel caso dei poliziotti – dando voce alla loro paura e al loro coraggio -, sia in quello degli ‘ndranghetisti, raccontando anche le loro paure, le tensioni, le difficoltà e il deterioramento dei legami che sono il prodromo della caduta della famiglia. Quindi, oltre ai colpi di scena, tante emozioni forti.

 

Le storie personali dei singoli personaggi, come nel caso di Michele Benevento, avranno un ruolo centrale nello sviluppo della storia?

Assolutamente sì, ma lo stesso per gli altri poliziotti e i malavitosi. Abbiamo voluto mettere in risalto gli sviluppi, in positivo e negativo, di tutti, “buoni” e “cattivi”.

 

C’è un personaggio che considera “particolare” o che consiglierebbe ai telespettatori di seguire con attenzione?

Sicuramente quello di Fulvio Marruso (interpretato da Giulio Beranek) da una parte e quello di Giulia Ventura (Viola Sartoretto) dall’altra. Tra l’altro, a proposito degli interpreti, la serie è un giusto mix tra attori già affermati – come Simona Cavallari, Giuseppe Zeno, Denis Fasolo e Massimiliano Gallo – e giovani poco noti che sanno il fatto loro (oltre ai già citati Beranek e Sartoretto, ci sono Daniela Marra, Francesco Colella e Marco Rossetti). Si uniscono due generazioni: e questa seconda si farà conoscere e apprezzare presto. È una cosa positiva e bella. Penso che il cast sia il vero valore aggiunto della serie. Se consideriamo che in ruoli importanti ci sono altri attori di provato talento ed esperienza come Ninni Bruschetta, Daniela Giordano, Andrea Tidona, Renato Carpentieri, Sergio Solli, Renato Marchetti, Roberto Citran e Bebo Storti, allora ben si comprende la mia fortuna di regista. 

 

Oltre ad azione e indagini, vedremo anche svilupparsi un filone sentimentale?

Sotto traccia c’è: uscirà fuori con il tempo, anche qui però c’è una un’originalità della serie, non avrà tinte forti e non sarà predominante. 

 

Questa sera andrà in onda la seconda puntata: in questo atto c’è una scena che le è piaciuta particolarmente o che ha trovato, in generale, emozionante da girare?

C’è una scena d’impatto tra il commissario Mantovani (Simona Cavallari) e suo padre. Non anticipo nulla perché è nel finale e in qualche maniera è legata anche alla famiglia Marruso. Grazie a quest’idea di scrittura molto acuta, sarà da ricordare…

 

Qualche altro progetto che bolle in pentola?

Al momento stiamo ancora lavorando al finale della serie. I progetti nel cassetto sono tanti, vediamo. Ma adesso fermiamoci qui.

 

(Fabio Franchini)