Sicuramente il film Noah farà arrabbiare un sacco di gente. Per questo è necessario fare un dovuto distinguo tra un giudizio di carattere contenutistico e uno puramente cinematografico. Partiamo dal primo. Per quanto fedele nel riportare il testo biblico, le cui parole il regista propone negli essenziali dialoghi che accompagnano le due ore abbondanti di film, di fatto Aronofsky si discosta dal nucleo di partenza non nel messaggio, ma attraverso una serie di invenzioni che trascinano la pellicola verso una deriva fantasy. Sia nel contenuto di ciò che viene messo in scena, sia nelle scelte registiche.
Lo scritto asciutto ed essenziale della Bibbia viene senza dubbio mantenuto nellincisività della narrazione, ma Aronofsky si arroga la libertà di interpretare la Genesi arricchendo la trama del suo Noah di particolari assenti nel Testo Sacro. questo, senza dubbio, uno degli argomenti utilizzabili da chi avrebbe preferito una rappresentazione letterale del Diluvio Universale e del compito, affidato a Noè, di portare in salvo tutte le specie animali traghettandole verso un nuovo inizio. Ci si trova, dunque, a fare i conti con personaggi mai citati nella Bibbia che, se da una parte arricchiscono il tessuto narrativo, dallaltra creano spaesamento in chi la Bibbia la conosce per davvero.
Non vogliamo per forza giustificare Aronofsky, ma vogliamo cercare di capire le motivazioni delle sue scelte. Lui, regista così abile nel cogliere i turbamenti dellanimo umano, anche in Noah sonda i sentimenti di noi mortali con attenzione chirurgica e senza lasciare adito a duplici interpretazioni. Ne risulta, così, che il Noè uscito dalla regia di Aronoski sia un servitore talmente integerrimo della parola di Dio da arrivare a pensare di tradire la sua discendenza. Decisamente forte come rappresentazione, poiché il Noè/Russel Crowe è dipinto come un devoto e quasi fanatico servitore, pronto a tutto pur di non deludere il suo Dio e il compito che da Lui ha ricevuto. Non mi ha scelto perché sono buono. Mi ha scelto perché sapeva che avrei portato a termine ciò che mi ha chiesto. Nulla da dire di fronte a tanto piena determinazione. Non fosse che, un po per questa monolitica consapevolezza, un po per il volto e il fisico di Russel Crowe, abituato ai tempi de Il Gladiatore a essere il guerriero tutto dun pezzo, il Noè di Aronofsky talvolta sembra lalterego del Comandante Massimo.
Questo è solo uno dei prestiti che il regista chiede ai suoi colleghi darte. Pensiamo ai Vigilanti (anche questi assenti nella Bibbia) e che assomigliano tanto ai Transformers cinematografici. O allambientazione molto fantasy del Diluvio Universale. Dalla scenografia agli effetti speciali (in tutto questo il 3-D è abbastanza inutile).
Fin qui tutto discutibile. Non possiamo non mettere in evidenza, però, che i 134 minuti della storia scivolano in un attimo. Sicuramente merito della mano registica di Aronofsky, che crea un ritmo serrato nei movimenti di macchina ma anche nelle azioni, sempre incisive, asciutte e drammaticamente bel concatenate le une con le altre. Questo si accompagna a una forte componente semantica che distingue ogni azione, sguardo, dialogo e scena.
Il film certamente amplia e devia rispetto ai brevi capitoli della Genesi, ma crea uno stratiforme caleidoscopio di sentimenti umani che incontrano il grande volere di Dio. Ne deriva che Noè non è soltanto colui che è stato scelto per portare a compimento una missione divina, ma è anche marito e padre, con tutto ciò che questo comporta. È così che il regista dipinge un quadro umano condivisibile e ben identificabile. Semplice ed efficace nella sua definizione, al punto da essere universalmente condivisibile. Sia si guardi il film come madre che come marito e padre oppure come figlio.