Rimaniamo in tema di Mondiali di calcio, alleggerendo la tensione in vista della sfida cruciale di stasera con l’Uruguay (a proposito: forza Azzurri!). Pertanto, proseguendo il discorso cominciato una quindicina di giorni fa riguardo le origini del calcio (Eden e Preistoria), è d’obbligo citare almeno due grandi civiltà che nel corso dei secoli hanno dato lustro alla sfera di cuoio tanto amata.
Gli Egiziani. Detti anche Egizi, o Egi, dagli amici E.G. (Esoterici Gagliardetti, per via della loro consuetudine di distribuire agli avversari, prima del fischio d’inizio, piccole sfingi da due quintali, papiri chilometrici quanto incomprensibili, bassorilievi a grandezza naturale di Ramses o di Tutankhamon), gli Egiziani furono a lungo imbattibili sui campi pesanti, abituati com’erano a giocare sulla sabbia umida o sul limo. Si deve a loro l’istituzione della Coppa del mondo dell’antichità, la cosiddetta Coppa del Faraone. Il nome, che ricorda gli antichi sovrani considerati alla stregua di divinità, deriva tuttavia dal geroglifico inglese (non sapevate dell’esistenza di geroglifici inglesi? Mica tutti possono essere come noi amici dello Zingarelli, un vocabolario che sa molte cose, perché – scava scava – qualcosa sotto il fango si trova sempre…) FARA ONE CUP: così fu denominata la prima edizione del torneo, che poi divenne naturalmente FARA TWO CUP nella seconda, e così proseguendo. L’ultima edizione disputata viene citata ancora oggi dalle enciclopedie (vai, vecchio Zinga!) come FARA BUTT CUP, perché, dopo una serie di gravi irregolarità, manfrine e arbitri prezzolati, il popolo infuriato gettò la coppa nel Nilo. Da allora a nessuno venne più in mente di riproporla. In ogni caso, per gli Egizi furono anni d’oro: il segreto dei loro successi fu dovuto principalmente al tipo di gioco, rigorosamente a zona: molti geroglifici, infatti, mostrano i più grandi esempi di difesa in linea che la storia del calcio ricordi (vedi esempio a fondo pagina: difensori schierati in un classico modulo 3-5-2).
Così forti, sicuri di sé e certi della propria imbattibilità, gli Egiziani non si sottraevano certo al fascino della sfida e a tal proposito non si contano i tornei ai quali partecipavano sempre con ardore agonistico e impeto pugnace. A quei tempi le regole – non scritte, ma tramandate oralmente – cambiavano di frequente, talvolta addirittura nel corso delle partite stesse; molto spesso si generava confusione della quale risultava impossibile venirne a capo; infatti, queste competizioni sono passate alla storia con il nome di “tornei d’Egitto”. Una sola norma, citano le fonti, restò sempre chiara e immutabile: la squadra che non si presentava alla partita veniva dichiarata sconfitta 0-2 a piramide (il tavolino non era stato ancora inventato).
Gli avversari degli Egiziani. Diverse squadre vanno segnalate, tra le avversarie storiche degli Egizi, prime tra tutte quella dei Babilonesi. Compagine dal gioco assai caotico, incapace di rispettare le consegne tattiche, la sua forza, ma anche il suo limite, è sempre stato quello di schierare in campo giocatori di forte personalità, undici “allenatori in campo” che spesso non riuscivano a trovare l’accordo: un casino totale, una vera e propria… Babilonia! Se non bastasse, a peggiorare le cose, ci si mettevano anche i tifosi: naturalmente casinisti, molto spesso violenti, sono passati alla storia con il famigerato nome di “Bab-hooligans”.
Anche gli Ostrogoti, che purtroppo per loro parlavano in ostrogoto, non riuscivano proprio a intendersi né con l’arbitro, né tantomeno con gli avversari sul campo: a dire il vero, tante volte non si capivano nemmeno tra loro!
I Goti, da sempre dei libertini, andavano in ritiro con le loro mogli paffutelle, le Gote, ma per non suscitare spiacevoli gelosie, evitavano di portarsi in trasferta le sorelle, fedeli al motto: “Non porgere l’altra guancia”.
Gli Unni non venivano mai senza gli Alltri.
I Fenici, che eccellevano nel canottaggio, mal sopportavano l’idea di sfidare gli Egiziani nel calcio: in trasferta venivano sommersi da una marea di gol: facili ad andare in barca, hanno sempre avuto difese che facevano acqua da tutte le parti.
Anche i Visigoti venivano considerati una squadra materasso, condannati spesso dalla sfortuna o da episodi fortuiti a pesantissime sconfitte; tuttavia la lamentela non faceva parte del loro stile, da qui il famoso adagio: “Fare buon visigoto a cattiva sorte”.
I Vandali – adesso possiamo confermarlo – erano proprio gentaglia. Raramente venivano invitati e la loro partecipazione non era vista di buon occhio: forse per temperamento, o più semplicemente per calzature poco adatte, il terreno di gioco dopo il loro passaggio risultava impraticabile: si dice non crescesse più un filo d’erba. E se fossero già esistiti i campi sintetici, beh, statene certi, avrebbero reso impraticabili anche quelli.
Non possiamo, poi, non citare i Sumeri: spiace sottolinearlo, ma sono passati alla storia come dei veri asini del calcio, benché corressero come cavalli pazzi e a centrocampo faticassero come muli, schierando in squadra mezze ali, mezze cosce e, va detto per dovere di cronaca, molte mezze seghe.
Ma i veri avversari degli Egizi sono stati per anni gli Ebrei. Forti di un allenatore molto ispirato, Mousè (detto Mou), basavano tutta la propria tattica di gioco su dieci semplici regole, il famoso Decalogo:
1) Non avrai altro allenatore all’infuori di me
2) Non nominare il nome del Presidente invano
3) Ricordati di colpire di testa
4) Onora il medico sociale e il massaggiatore
5) Non uccidere l’arbitro
6) Non commettere falli duri
7) Non rubare il pallone ai tuoi compagni
8) Non fare falsa ripartenza
9) Non desiderare la maglia da titolare altrui
10) Non desiderare la fascia del tuo capitano.
(Fine del primo tempo supplementare. Martedì prossimo il secondo tempo supplementare)