Generi come il noir e il thriller vedono nella metropoli il loro habitat naturale. Tra un fumoso bar dangolo, un palazzo in cemento armato e una bisca clandestina è facile ambientare storie di omicidi, rivalità tra bande e sparatorie. Nel 1996 i fratelli Coen, nel pluripremiato Fargo, prendono gli elementi tradizionali del noir metropolitano, aggiungono una buona dose di black humour e ambientano il tutto tra le nevi di un piccolo paesino del Minnesota. La formula rosso (sangue) su bianco (neve) è vincente, tanto che lultima fatica del norvegese Hans Petter Moland non si vergogna di riproporla, anche a distanza di anni. Ma il regista non si limita a strizzare locchio ai Coen.

In Ordine di Sparizione, presentato questanno a Berlino, segue la parabola di vendetta di Nils Dickman (Stellan Skargård, già visto nel recente Nymphomaniac), introverso pilota di spazzaneve che si trasforma in giustiziere solitario per vendicare la morte del figlio, opera di una misteriosa organizzazione criminale capeggiata dalleccentrico Conte. Una revenge story piuttosto classica, se non fosse che il Conte, oltre a essere il classico gangster spietato e senza scrupoli, è anche un giovane divorziato, costantemente in lotta con la moglie per ottenere la custodia del figlio. Pål Sverre Hagen riesce a impersonare un personaggio in bilico tra commedia e tragedia, diviso tra i suoi doveri da criminale e quelli da padre salutista e nevrotico.

Come se unorganizzazione criminale sola non bastasse, a movimentare le cose entra in scena anche il Papa (Bruno Ganz) con i suoi uomini, membri della mafia serba, nonché rivali del Conte. In mezzo al gioco di potere tra le due gang – un gioco di potere non privo di momenti surreali e grotteschi, volutamente esagerati in pieno stile Tarantino – si inserisce la vendetta personale di Nils, cittadino modello capace, alloccorrenza, di tenere sotto scacco i vertici della criminalità organizzata.
Se la Sposa protagonista di Kill Bill aveva viaggiato dal Giappone al Kansas per consumare la sua vendetta contro lamante/mentore Bill, il ben più verosimile Nils si muove, come già suggerito, tra le spettrali distese innevate di un paesino della Norvegia, districandosi tra paesaggi che non sfigurerebbero, merito dellottima fotografia, in un documentario naturalistico.

Il paragone con Tarantino potrebbe sembrare azzardato, ma, a ben vedere, i punti di contatto tra Moland e il regista di Kill Bill vanno ben oltre la semplice somiglianza tematica. Entrambi amano indugiare sulla violenza fino a svuotarla di ogni risvolto drammatico; amano spiazzare lo spettatore con eccessi d’ira improvvisi e altrettanto repentine virate verso toni da commedia nera; tipici di Tarantino, poi, sono i brillanti dialoghi al limite tra il nonsense e la cultura pop, e anche sotto questo aspetto Moland (o, per meglio dire, lo sceneggiatore Aakeson) si dimostra all’altezza, regalando autentiche perle di scrittura che assolvono al duplice compito di strappare più di una risata allo spettatore e di caratterizzare i personaggi, specialmente quelli più “sopra le righe”.

In sostanza, il film riesce a mantenere per tutta la sua durata un ritmo fatto di pause liriche e di improvvisi crescendo di tensione, di palesi parodie al macrogenere thriller e di umorismo raffinato. Moland prende il meglio della tradizione cinematografica statunitense, e lo trasporta, rielaborandolo secondo il proprio gusto tutto europeo, in una Norvegia più affascinante che mai.