Evidentemente è una sorte condivisa dalla famiglia Argento, essere amati all’estero più che in patria. Non stupisce così che Asia, presentando a Cannes il suo terzo lungometraggio da regista Incompresa, sia stata accolta come una rockstar. E il film esaltato da parte della critica internazionale. Detto questo però, il film con Gabriel Garko e Charlotte Gainsbourg è opera più interessante che riuscita.



La storia è quella (autobiografica evidentemente, ma che Asia non lo sappia) di Aria, ragazzina sballottata tra due genitori egoisti e inadeguati: il padre è un divetto che gira il mondo tra droghe e superstizioni, la madre è una musicista che vaga tra concerti e uomini. Le sorelle non ne parliamo. E le amiche anche peggio. Come farà a superare i traumi della propria infanzia? La musica e la creatività potrebbero salvarla.



Scritto da Argento con Barbara Alberti, Incompresa è nella definizione dell’autrice un melodramma punk, che sulla scia del cinema di Sofia Coppola e Valérie Donzelli (soprattutto La guerra è dichiarata) cerca di riscattare nello stile e nella vitalità del tono la materia, ispirata al romanzo di Florence Montgomery a cui già Luigi Comencini aveva dedicato un film nel 1967, grande successo di lacrime popolari.

Argento ovviamente, da ribelle e spostata, decide per un altro tocco, sceglie di rendere il meno patetica possibile una storia di genitori atroci e figlie insopportabili, di una vittima contro un mondo di carnefici: sceglie gli anni ’80 presi nei loro risvolti peggiori, li riempie di colori, costumi, musiche ad hoc, tra new wave, post punk e pop d’epoca, tra Clash e Duran Duran. Scelte di confezione, magari discutibili, ma che servono ad Argento per evitare lacrime facili e ricatti disonesti all’emotività dello spettatore.



Peccato che Incompresa vada sempre più alla deriva verso un macchiettismo di fondo, verso un grottesco ripetitivo che piuttosto che far piangere e far emozionare preferisce far sorridere, se non ridere, sostituendo la vitalità dei sentimenti con una loro semi-parodia. Può essere un’operazione teoricamente interessante, ma distoglie da quello che potrebbe (dovrebbe) essere il senso del film, il cuore della storia che racconta.

Incompresa non sa dove andare a parare, o meglio si perde tra strade e suggestioni che danno il senso della libertà della sua autrice meno il suo talento, la sua capacità di costruire un film che non si sfaldi su se stesso. Un merito ad Asia Argento va però riconosciuto: aver dato a Gabriel Garko un modo per uscire dalla gabbia della pessima fiction e calcare il red carpet. E Garko la ripaga con la miglior prova della sua, non proprio folgorante, carriera.