Non bastano tutti i cammelli del deserto per comprare un amico. Con questo proverbio arabo si apre Marrakech Express, uno dei più noti film on the road italiani che questanno compie un quarto di secolo. In unestate in cui raggiungere il Nord Africa è meno semplice di un tempo (vista la situazione geopolitica), forse si può viaggiare anche rivedendo questa pellicola in DVD o in una delle repliche televisive. Non solo per farsi qualche risata, ma anche perché il film è considerato il primo della trilogia della fuga (che meriterebbe un approfondimento a parte) di Gabriele Salvatores, chiusa da Mediterraneo (preceduto da Turnè), vincitore dellOscar come miglior pellicola straniera nel 1991.

Siamo nel 1988 e Marco (Fabrizio Bentivoglio), giovane ingegnere, riceve la visita di Teresa (Cristina Marsillach), una ragazza spagnola che si presenta come la fidanzata di Rudy (Massimo Venturiello) per chiedergli aiuto. Il suo ex compagno di università si trova infatti in carcere a Marrakech dopo essere stato sorpreso con un grosso quantitativo di hashish. Per evitare una condanna di 20 anni bisogna corrompere il giudice con 20.000 dollari, una cifra vicina ai 30 milioni delle vecchie lire. Marco decide di parlare della cosa con Ponchia (Diego Abatantuono) e Paolino (Giuseppe Cederna), vecchi amici suoi e di Rudy, che non vedono ormai da dieci anni. Raccolti i soldi necessari, e non fidandosi più di tanto della sconosciuta Teresa, decidono di partire alla volta del Marocco per consegnare la mazzetta, ben nascosta in un finto tubo di scappamento del loro fuoristrada per sfuggire ai controlli doganali. I quattro passano a prendere anche Cedro (Gigio Alberti), un altro membro della vecchia compagnia che ha scelto di vivere come un eremita tra i monti.

Inizia così un viaggio che porta il gruppo in Francia e Spagna, prima della traversata verso il Marocco. I vecchi amici sembrano più uniti che mai, finché non devono fare i conti con un imprevisto: Teresa scappa con i soldi, lasciandoli anche a piedi. Inizia così la ricerca della traditrice, tutta da seguire fino allepilogo in pieno deserto. In mezzo una serie di eventi, tra cui la celebre partita di calcio Italia-Marocco che i cinque (Teresa era ancora col gruppo) disputano per recuperare il tubo contenente i soldi necessari a liberare Rudy. Una scena omaggiata in modo esplicito da Aldo, Giovanni e Giacomo nel loro Tre uomini e una gamba.

Come si intuisce già dalla scritta che lo apre (il proverbio di cui sopra), il film vorrebbe riflettere sullamicizia: un gruppo di amici che si ritrova dopo 10 anni può ricostruire e rivivere lo stesso rapporto intenso di un tempo? Salvatores sembra lasciare aperta la risposta, o quanto meno incompleta. Più in generale la pellicola sembra anche voler parlare della precarietà di una generazione, quasi incapace di diventare adulta con piena soddisfazione.

Nonostante i “toni” lombardi del film, dal regista agli attori, esso nasce in realtà in Veneto, precisamente a Padova, dalla penna di Umberto Contarello, Enzo Monteleone e Carlo Mazzacurati. Quest’ultimo, recentemente scomparso, sarebbe dovuto essere in un primo tempo il regista di Marrakech Express, ma alcune incomprensioni con il produttore Gianni Minervini portarono poi alla scelta di Salvatores. Contarello ha recentemente raccontato che l’idea del film venne fuori quando, insieme ai suoi colleghi, decise di riprendere alcuni episodi della loro gioventù padovana. Proprio nella città veneta, durante le riprese de La lingua del Santo (film di Mazzacurati), Bentivoglio, come lui stesso ha raccontato, ebbe modo di conoscere il vero Ponchia e altre persone che ispirarono i personaggi del film, segno che in qualche modo l’intenzione degli sceneggiatori era di raccontare qualcosa di realistico.

Se, come detto prima, Salvatores è stato poi omaggiato da Aldo, Giovanni e Giacomo, lo stesso Marrakech Express contiene dei rimandi a pellicole straniere come Il grande freddo e Fandango, ma anche un omaggio a Sergio Leone. Mentre i protagonisti si trovano nel deserto spagnolo di Almeria, infatti, si imbattono in un vecchio villaggio western usato dal regista romano per girare molti dei suoi film. I cinque si fanno anche fotografare insieme a una gigantografia della locandina de Il buono, il brutto, il cattivo. Insomma, c’è più di un motivo per rivedersi questo film e riapprezzarne l’attualità di certi temi.

 

(Bruno Zampetti)