la tragedia di molti clown: conoscere larte e i segreti della risata e soffrire di un male oscuro che li isola dal mondo, che rende loro impossibile stare al mondo. Robin Williams allimprovviso è morto, ieri notte, a 63 anni. Trovato nella sua casa in California, asfissiato. La polizia sospetta il suicidio visto che soffriva di depressione da tempo e si era fatto ricoverare più di una volta per riabilitarsi dallalcoolismo.
A questo quadro, però, fa da triste e bellissimo contrasto la sua carriera, la sua arte. Che era quella di saper far ridere, tutti, sondando i confini e le facce dellumorismo e della comicità, dalla buffoneria fisica e mimica per i più piccoli, conquistati a colpi di dadi in Jumanji o molto prima salutando come un alieno in Mork & Mindy, o dallacume provocatorio dei suoi spettacoli, delle sue battute, delle sue apparizioni televisive. Fino a scoprirsi con gli anni interprete e attore a tutto tondo, capocomico in grado, con il cambio dello sguardo, del corpo e della voce di emozionare e commuovere.
Se in questi giorni di lutto tutti ricorderanno il professore che saliva sul tavolo declamando Whitman ne Lattimo fuggente, è merito della capacità di Williams di toccare le più profonde corde della retorica senza apparire falso, impostato, affettato. Era un prisma, un caleidoscopio capace di modulare ogni snodo del proprio corpo in funzione delleffetto che doveva raggiungere, un perfetto strumento artistico cominciato a raffinare sulla fine degli anni 70, quando dopo i successi collegiali e teatrali si fa notare in tv, nel Richard Pryor Show, e poi in piccoli ruoli, come quello dellalieno in Happy Days che farà nascere, appunto, Mork & Mindy. Scatenato e infantile, irresistibile e imprevedibile, Williams ci metterà poco a conquistare il grande schermo con Il mondo secondo Garp, Mosca a New York e quel piccolo culto che è Come ti ammazzo un killer.
Nel 1987 però la svolta: Barry Levinson, regista che sarà tra i suoi principali amici e collaboratori, lo lancia nel drammatico ruolo di un dj che nel mezzo della guerra del Vietnam ha il compito di tenere alto il morale delle truppe con musica e parole, non sempre gradite allesercito. Good Morning Vietnam diventa proverbiale nel titolo, gridato da Williams enfatizzando ogni vocale, e fa guadagnare al protagonista la nomination allOscar e il Golden Globe. In quel film, Hollywood e il pubblico riconoscono la statura del grandissimo interprete, del vero attore di razza, di stampo classico eppure così poliedrico da essere sempre modernissimo.
A cavallo tra gli 80 e i 90, e lungo tutto il decennio, i suoi film più memorabili: Le avventure del barone di Munchausen, Lattimo fuggente, Toys, Mrs. Doubtfire, La leggenda del re pescatore e Hook – Capitan Uncino tra i molti, fino alla consacrazione nel 1997, con Will Hunting – Genio ribelle che gli fa vincere il primo e unico Oscar dopo 4 nomination. Ha continuato a girare film fino allultimo, anche se una volta declinato il fulgore della carriera non tutte le produzioni erano allaltezza del nome, tanto da tornare in tv con The Crazy Ones, serie umoristica di non troppo successo.
Forse dagli ultimi anni in cui più di un riflettore si era spento parte la malinconia fatale di Williams, o forse no. Preferiamo ricordare questo cartone animato in carne e ossa, vivente e soprattutto pensante, con due delle sue principali apparizioni nel mondo dell’animazione: quando nel 2000, sul palco degli Oscar, cantò “Blame Canada”, canzone di South Park candidata all’Oscar, mescolando la sua giocosità alle provocazioni ironiche di quella canzone, ma soprattutto quando ha donato la voce e ogni stilla del suo talento al Genio in uno dei più bei film moderni della Disney, Aladdin, riuscendo con la sua abilità vocale e creare mondi anche per gli occhi, spingendo per un attimo l’Academy a pensare di creare un Oscar speciale per l’interpretazione vocale.
Non accadde, ma anche in questi tentativi che deviano, seppur impercettibilmente, il corso della storia e dello spettacolo, sta la grandezza di un artista.