Nel lontano 1973 usciva nelle sale LEsorcista, capostipite di una lunga serie di horror che fanno della possessione demoniaca il proprio cavallo di battaglia. Da quellanno, cloni più o meno riusciti hanno inondato le sale, nella speranza di ricalcare il successo di Friedkin. Ed ecco che, ancora in pieno 2014, Scott Derrickson porta nelle sale lennesima variazione sul tema, confermando un interesse per il genere che aveva già dimostrato con Lesorcismo di Emily Rose, mediocre ma originale pellicola del 2005.

Liberaci dal Male – così si intitola lultima fatica del regista – narra la storia vera di un poliziotto, alle prese con alcuni casi di possessione demoniaca che terrorizzano New York. Ad affiancarlo nellimpresa un prete dal passato fumoso, che lo aiuterà a superare lo scetticismo iniziale. Questa, in breve, la trama del film, che vorrebbe servire come punto di partenza per far riflettere lo spettatore, dato che il regista si invischia con nonchalance in discorsi metafisici su Dio, la religione e il concetto di male.

Uso il condizionale perché quella che sarebbe potuta essere una trovata interessante è stata annichilita da una messa in pratica che più superficiale e abbozzata non si può. Anche Emily Rose soffriva di una certa retorica di fondo, ma in Liberaci dal Male sembra addirittura che il regista abbia paura di orchestrare una riflessione più approfondita, accontentandosi di due battute sullontologia di Dio tra una sigaretta al bar e una scazzottata con un posseduto. 

Lasciando da parte le pretese filosofiche, il film funziona piuttosto bene non tanto come horror – al quarto salto sulla sedia provocato da orsi, topi e cani che abbaiano la tentazione di abbandonare la sala era forte -, bensì come film dazione infarcito di elementi horror. Al regista piace giocare con gli effetti speciali e si vede, perché tra stomaci squarciati da insetti e fratture scomposte il film regala, dal punto di vista visivo, qualche soddisfazione. Degna di nota è la scena dellesorcismo, che, pur nella sua confusione, regala una performance da indemoniato realmente inquietante, merito dellottimo lavoro di make-up. 

Si è capito che Derrickson ama disseminare nei propri lavori un’infinità di chiavi di lettura appena abbozzate, e in questo caso l’indizio che salta più all’occhio è l’insistenza con cui si citano i Doors, uno dei gruppi rock più iconici degli anni ‘60 e ‘70. Interessante l’idea di paragonare i portali tra la realtà terrena e il mondo demoniaco a quelle “doors of perception” di cui già Blake aveva parlato; un po’ meno interessante è la banalità con cui si è liquidato l’argomento. Tanta carne al fuoco, insomma, ma la sensazione che il regista abbia voluto strafare rischia di tarpare le ali a quello che, per tensione e impatto visivo, sarebbe un horror senza infamia e senza lode.