Allinizio siamo in compagnia di una donna del tutto ordinaria, forse addirittura un po superficiale e ingenua. lei, Lucy, che esce con un tipo poco raccomandabile, fa baldoria in giro per locali invece che studiare per gli ultimi esami del suo percorso di studi. Una Scarlett Johansson decisamente un po sfatta e dallaria poco curata, con le occhiaie, lo smalto argenteo sulle dita tutto sbeccato e un giacchino leopardato poco chic e perfino un po volgare. Fin da subito, in ogni caso, è chiaro che quando la giovane viene ammanettata a una valigetta dal contenuto misterioso, trattandosi del regista Luc Besson che ci ha già preparato fin dal suo Leon del 1991, i suoi guai inizieranno proprio con la consegna della suddetta, piuttosto che finire.

Infatti, Lucy si risveglierà riversa su di un letto con un chilo di una nuovissima droga sintetica cucito nellintestino, pronta a diventare un perfetto corriere da spedire in giro per tutte le capitali europee dai suoi aguzzini. Intanto, in unaula universitaria, il pluripremiato Morgan Freeman interpreta il professor Samuel Norman, uno studioso che ha sempre condotto degli studi, interessanti e avanguardisti, sul cervello umano.

Piano piano le vicende sfumano e da una quotidianità ormai un po stentata il regista ci guida abilmente in un mondo di fantascienza, senza sbalzi troppo bruschi, facendo in modo che le strade dei due protagonisti si intreccino. Lucy diventerà la prova vivente che le ipotesi e le congetture del professor Norman sono corrette: partirà una vera e proprio corsa contro il tempo, una corsa mossa dallistinto più radicato e anche più elementare che ogni essere vivente possiede, a partire da una semplice cellula: quello di andare avanti, di non scomparire, in poche parole di continuare a essere.

Gli effetti speciali la fanno ben presto da padroni, dopo che per sbaglio il sacchetto contenente quellincredibile sostanza si rompe e si riversa nellorganismo di Lucy, riuscendo gradualmente a incrementarne le capacità cerebrali. Amplificazione della memoria, lettura del pensiero e dei ricordi, seguita poi da telecinesi, controllo delle azioni degli altri, dello spazio, perfino del tempo. Ma per tutto questo sarà alto il prezzo che la protagonista capirà di dover pagare: è in quel momento che Lucy, resasi conto del poco tempo che ha a disposizione, andrà direttamente dal professore con la domanda fondamentale che si dispiegherà come elemento pregnante per il resto del film, ovvero come impiegare il tempo che le rimane.

Besson ci guida attraverso gli ostacoli del suo ragionamento talvolta così criptico; e sulla scia della regia di Neil Burger, con la sua pellicola Limitless (2011), mette in piedi un lavoro di fantascienza che non si dimentica della vita di tutti i giorni, quella che si aggrappa agli ultimi istanti non smettendo mai di cercare un senso e uno scopo, quale che fa emergere la domanda più recondita – ma anche quella che ci appartiene di più – cosa me ne faccio della vita?

Si toccano spesso punti di intuizione davvero alti, ma a volte la narrazione e le basi di argomentazione che dovrebbero sostenere il film risultano un po’ tentennanti, così che lo spettatore debba fare davvero quello sforzo mentale in più per seguire il filo logico su cui galoppa il pensiero di Besson: si intende, per esempio, la velocissima considerazione a proposito del tempo che emerge ben più dalle azioni degli attori che non dalle poche parole spese al riguardo; o altrimenti anche alla presenza – non necessariamente giustificata dai protagonisti stessi – dell’ispettore Del Rio (Amr Waked) a fianco di una potentissima e apparentemente autosufficiente Lucy.

In ogni caso, l’azione inarrestabile della protagonista, che si sposa così bene con la potenza degli effetti speciali, riesce a dare alla pellicola quella marcia in più che la mantiene in quota per tutti i 90 minuti. Chiaramente, lo slittamento nel mondo fantascientifico costruito dal Luc Besson, darà alla luce un finale assolutamente esagerato, in un connubio di onnipotenza e sanguinosa brutalità; perfettamente in grado di lasciare gli spettatori soddisfatti, a bocca aperta e probabilmente intenti a far funzionare i neuroni.

 

(Maria Ravanelli)