Sono finiti i tempi di quel cinema un po naif, in cui registi italiani o stranieri dipingevano la mala con un pizzico di seduzione. Il primo film che mi viene in mente è Il siciliano (regia di Michael Cimino), dove un affascinante Christopher Lambert impersonava il bandito Salvatore Giuliano. Nel combattere il mondo intero e la mafia stessa, pareva non ci fosse differenza, restituendo laroma di quel dopobarba, la cui pubblicità recitava: Per luomo che non deve chiedere mai. Insomma, tra pistolettate e sguardi assassini si faceva della mala (e del mafioso) un ritratto romantico, quasi assolutorio. Chi rimaneva in prima linea, a mortificarsi con lomertà dei paesani, veniva descritto come idealista, un po scavezzacollo, tanto che il tutore della legge assomigliava a un DArtagnan circondato dai cattivi.

La realtà è diversa dalla fiction, oggi anche il cinema ha riconquistato il tempo perduto. La nostra terra è una commedia che fa nascere una domanda: con la mafia si può scherzare? Il regista Giulio Manfredonia cerca di spostare lattenzione sullaltra faccia della luna, lantimafia, dipingendo un mondo fantastico dove chi combatte riesce anche a divertirsi (divertire?). una conferma (o almeno un tentativo) di raccontare lessenza del bene, che può attecchire nelle radici criminose. La struttura è la vicinanza speculare tra buoni e cattivi, boicottatori e veri lavoratori, in un racconto surreale su come reagire al ricatto criminale.

Tutto accade con le scelte di Filippo (Stefano Accorsi), protagonista catapultato dal nord per dirigere una cooperativa in Puglia; comprendere quanto sia difficile accogliere le ragioni dellaltro sarà lostacolo per non perdere le speranze. Linfiltrazione mafiosa fa ridere (?), soprattutto quando il boss, uscito dal carcere, sembra un narcos in gita a Juarez, portando gli onesti a un bivio: scappare via o resistere, rinnovando la fiducia gli uni verso gli altri.

La nostra terra si lascia andare a cliché di pecorino e scacciapensieri, ma riesce anche a dissacrare la mafia nel suo contesto, utilizzando come grimaldello la burocrazia, dietro cui si nascondono le persone.

Se Gomorra (film e telefilm) ha rotto l’argine, sbattendo in faccia allo spettatore la crudeltà di chi delinque, La nostra terra ha il merito di chi vuole descrivere la legalità, con semplicità e immediatezza. Nelle assolate campagne tutto tace ma nessuno riposa. Chi ne ha concessione deve sforzarsi di non crollare, ma non è la lupara o il bossolo di pistola a impensierire Filippo e la sua gente, è il desiderio di tirare addosso al boss quanti più pomodori possibili, mandarlo via ed esorcizzare quel potere, che tutti gli onesti dovrebbero allontanare.