1964 Per un pugno di dollari. Ramon Rojo (Gian Maria Volontè) a Joe (Clint Eastwood): “Quando un uomo col fucile incontra un uomo con la pistola, l’uomo con la pistola è un uomo morto”. Dopo cinquant’anni il vecchio ma ruggente Clint ha sempre in mano un fucile. Quello di American Sniper, con l’attore Bradley Cooper. Storia vera del cecchino americano Chris Kyle, soprannominato Leggenda, con i suoi 166 centri umani ufficiali.

Dio, patria e famiglia. Non una pecora o un lupo, ma un pastore tedesco che proteggere il suo gregge. Parole forti che hanno fatto storcere il naso a molti critici come Paolo Mereghetti de Il Corriere della Sera. Un Clint troppo patriottico? Fesserie. Nessuno si ricorda il divertente dialogo pubblico contro l’interventista Obama e la sedia vuota? Bastava poi leggere l’intervista rilasciata a Enrico Deaglio per accorgersi del filo rosso di empatia che ha legato il vecchio leone del cinema alla vita di Chris Kyle. Un uomo, non un eroe, che ha scelto di servire il Paese dopo le Torri Gemelle, che teneva con sé la Bibbia, ma forse non l’aveva mai letta. Non un eroe, ma un soldato che si occupava della sicurezza dei suoi commilitoni, del suo gregge.

Certo un soldato, ma non un esaltato, che quando ha issato la bandiera di “The Punisher” ha visto morire due suoi compagni. E questo sicuramente lo ha riequilibrato. Un uomo che ha avuto il suo punto di rottura ed è tornato dalla moglie e dai figli. Un uomo con il suo percorso di vita che lo ha portato a scegliere di continuare ad aiutare gli altri, quelli tornati senza gambe o con turbe psicologiche.

Non è un film che analizza la psiche del reduce, ma è il cammino vero di un uomo che alla fine dice: «Sono pronto a incontrare il Creatore e a rispondere di ogni singolo colpo sparato. Un pastore tedesco che proteggeva il suo gregge, le persone a cui voleva bene. Questo era il suo modus operandi. Ma era anche conscio del male che esiste in una guerra. 

American Sniper è un film non retorico, non spettacolare e neppure sentimentale. E di questo tanto di cappello al vecchio Clint che non contrappone, come forse io avrei maggiormente accentuato, i cattivi islamici con gli ideali di libertà dell’Occidente. Ma qui sta la bravura del regista che si è calato, immedesimato nel protagonista del film.

Eastwood ha ripercorso con i flashback la vita di Kyle, la sua tradizione ed educazione, facendoci cogliere perché un americano arriva a scegliere di andare in Iraq. Il regista ha incontrato il padre di Kyle, ha voluto conoscere l’uomo e il soldato. Delicata e intelligente la scelta di non far vedere la sua morte, ma di utilizzare le immagini vere della parata funebre.

Un gran film con un grande regista.