Una Rosamund Pike grandiosa (non per niente in lizza per l’Oscar) e un Ben Affleck che si conferma ancora una volta in possesso di una qualità rara nei divi americani, quella di non essere eccentrico ma di “lavorare” per la squadra. Il film L’amore bugiardo – Gone Girl è stato confezionato con il sapiente dosaggio di elementi che denotano possesso dei meccanismi del set e, soprattutto, navigata esperienza per intercettare la sete di divertissement e con esso il mercato. Un’operazione commerciale ben congegnata a partire dalla trama: un matrimonio che sembrava non dover finire che invece naufraga come tutti, cosa c’è di più coinvolgente del racconto di un amore promettente? E cosa di più facile della rappresentazione di un nuovo inizio? Emy ha già due divorzi alle spalle. La svolta narrativa si ha quando un bel giorno la splendida donna – resa ancor più seducente dai continui piani americani del regista David Fincher – inscena il proprio suicidio o forse quando tutto lascia intendere che si è di fronte a un sequestro di persona.

La storia è in parte realistica e in parte improbabile; non mancano – siamo al quinto anno di matrimonio – i problemi quotidiani di qualsiasi coppia: un trasloco, un successo editoriale, una mamma ammalata di cancro, un rovescio economico, l’avvilimento per la perdita del lavoro. Nella storia c’è però anche un che di cervellotico, che è richiesto sia dalla natura decisamente thriller del film, sia dalla necessità di intercettare le masse dei fruitori: per la 20th Century Fox un prodotto deve piacere a tutti, dal camionista all’idraulico al branco degli intellettuali salottieri, insomma a chi cerca un attimo di respiro dalla vuota vita e vita vuota quotidiana. 

Per buona parte l’operazione è riuscita. Il thriller tiene incollati alla poltrona, è manna per gli addetti ai lavori, critica ed esprit cinefilo – giusto per sfoggiare opinioni e commenti come a chi più sa più piace recensire scrivere e vendere.Nella storia inoltre c’è del materiale freudiano nei termini della classica dinamica di amore e odio, così come non poteva mancare una trovata degna del kamasutra più assurdo: un amplesso la cui truculenza però – sia detto senza moralismi e senza scomodare eros e thanatos – risulta di pessimo gusto. 

Trama a parte, il thriller prende perché la particolare intensità che esso acquisisce in progress deriva dal variare di diversi fili narrativi, ovvero dal fatto di passare per più registri – è per questo forse che si distingue da altri thriller come Psycho di Hitchcock o i più recenti Il Codice da Vinci o Angeli e demoni di Ron Howard. Infatti, allo spettatore viene sciorinata prima la classica love story, idilliaca quanto scontata, poi si passa alla fiction giornalistica, così verosimile che per un istante sembra che la sala del film sia quella di un telegiornale! Poi c’è il registro “poliziesco” misurato, da serie televisiva tuttavia lontano sia dai classici Miss Marple o Maigret, sia dai più recenti Castle o Wallander, visto che la “capa” degli investigatori è una donna, savia e di buon senso. Infine, c’è il giallo psichiatrico alla Psycho. 

Tutti questi ingredienti tengono alta la suspense e danno alla narrazione nuovo slancio. Per quel che riguarda invece i contenuti del film, sono pretesti che non hanno alcuna intenzionalità registica: sono possibili soltanto estrapolazioni più che variazioni sul tema del matrimonio. 

Sporadici e però forti giudizi vengono espressi sul matrimonio con la veduta corta di una spanna che tuttavia documentano di una crisi storica che obiettivamente coinvolge oggi l’istituto matrimoniale. Solo due stralci. La Pike incarna la mentalità generale quando dice che il matrimonio è soltanto un’ipocrisia, che degenera da affare di cuore a cuore di affari. Anche le battute finali, a luci ormai spente (!) sono inquietanti: “Che ne sarà di noi dopo tutto il male che ci siamo fatti e che ancora ci faremo …”.

Ogni più splendida storia di amore parte sempre bene perché è nella sua natura di incontro gratuito voler e poter amare per sempre, amare fino ad abbracciare il destino dell’altro. Il problema è che oggi l’uomo ha perso l’altro e il senso dell’altro – e un thriller ne è un documento per quanto leggero. Un grande scrittore francese (Antoine De Saint-Exupéry) diceva “Amare non è guardarsi a vicenda; è guardare insieme nella stessa direzione”… dopo un po’ la relazione diventa “strabica”, un rapporto di potere e non è detto che con i figli le cose migliorino, anzi di solito, degenerano… Gli fa eco una grande donna (Etty Hillesum), grande penna che sulla natura umana incide come un bisturi: “Io voglio che lui mi dica: tesoro, tu sei l’unica per me e ti amerò in eterno. Ma questa è una favola. E fintanto che non me lo dice, tutto il resto non ha senso e non esiste. […] Forse pretendo un amore assoluto proprio perché io non ne sono capace? E poi, desidero sempre lo stesso livello d’intensità mentre so bene, per mia propria esperienza, che una cosa simile non esiste: ma non appena noto in un altro una temporanea caduta, mi do alla fuga”.