Dopo i cupi giorni di Parigi far ridere sembra diventato più arduo. Colpa della paura del terrorismo, che serpeggia, strisciante e viscida, e ci tiene in allerta, facendoci persino scrutare con attenzione i volti dei nostri compagni di viaggio, in aereo, sul treno o sul tram? Forse. Ma noi che facciamo “Sfooting” (attività che consiste nel prendere in giro le cose a passo leggero, e sempre di corsa) una volta alla settimana per mantenere alto il buonumore alla stregua del colesterolo buono, siamo rimasti colpiti da una frase dello scrittore francese Michel Houellebecq: “L’Islam vincerà perché l’ateismo, dominante in Europa, è troppo triste”. Già lo diceva un gigante dell’umorismo come Gilbert K. Chesterton: “Il cristianesimo è allegria, felicità. Il contrario del cristianesimo è la tristezza”.

Al solo udire questo sostantivo, “tristezza”, pur’anco al simpatico Zingarelli viene da reagire allo stesso modo di un vocabolario uggioso: comincia a sfogliarsi (nel senso che perde letteralmente i fogli), cantilenando come un grammofono rotto: “Tristezza, mestizia, infelicità, sconforto, malinconia, amarezza, depressione, avvilimento, tedio, uggia, abbattimento, prostrazione, scontentezza, angoscia”.

Ehi, Zinga, stop, così ci lasci senza sinonimi, sembri Gmork. “E chi è ‘sto Gmork?” (Accidenti, la tristezza obnubila a tal punto la sapienza del Zinga da costringerlo a porre, lui, il “Sapientone del Sapientino” – cioè il campione imbattibile del gioco educativo per eccellenza -, una domanda a noi!). Gmork è uno dei personaggi più terrificanti del bel romanzo di Michael Ende “La storia infinita”; in un serrato dialogo con il giovane Atreyu, il lupo mannaro pronuncia parole glaciali sul Nulla, preso nelle paludi della Tristezza: ” il vuoto che ci circonda. la disperazione che distrugge il mondo, e io ho fatto in modo di aiutare il Nulla. Perché è più facile dominare chi non crede in niente”. 

Intanto raccogliamo le pagine cadute e le riposizioniamo con cura nel dizionario al posto giusto. Lo Zinga si riprende, si sfoglia (stavolta in modo positivo) e cita a puntino: “Sorridi anche se il tuo sorriso è triste, perché più triste di un sorriso triste c’è la tristezza di non saper sorridere. Jim Morrison”. Poi: “Nonostante la vita sia un misto di dolore e tristezza, dobbiamo vivere aspettando la morte. Paulo Coelho”. E ancora: “Quando uno è triste non servono le classifiche, non c’è un tristometro. Stefano Benni“. Quindi

All’improvviso suonano al campanello. Pensieroso e stanco di citazioni, lo Zinga si richiude in se stesso (in senso letterale) e ci lascia soli. Andiamo ad aprire la porta. Davanti a noi una signora. Non facciamo in tempo a chiedere che cosa volesse, che lei – con voce inespressiva – inizia a parlare. 

“Buongiorno. Posso entrare?”. “Certo”. La facciamo accomodare. “Gradisce una tazza di english tea?”. “No, sono a-tea praticante”. E senza lasciarci il tempo di rimanere interdetti, continua scialbamente: “Sono una casalinga”. “Di Voghera?” “No disperata. Mi chiamo Infelicita Abbattuta. Così abbattuta che sono partita da Triste (sarebbe in verità Trieste, ma tale è la mia afflizione che ho volutamente lasciato alla stazione centrale la “e” centrale) diretta a Per Uggia (gli altri la chiamano Perugia, il mio pessimismo però è tanto cosmico che la “g” in me raddoppia da sola) per organizzare il Mestival 2015, il primo Festival della Mestizia. Cerco sponsor, ospiti o semplici partecipanti. Voi ci state?” (intanto ci fissa con due occhi liquidi e spenti).

Signora, così d’acchito… “Al Mestival sarà assolutamente vietato ridere, gioire, gongolarsi, rallegrarsi e far festa. Al massimo si potrà accennare a qualche passo di ballo, al solo ritmo (ritmo?) di “Let’s trist again”. Se non vi piace Per Uggia, in quel di Meste (in occasione del Mestival la città di Mestre perderebbe la “r”), nella dimessa cornice dell’Hotel “Estrema Libagione”, saranno premiate con il Golden Tear (Lacrima d’oro) le più infelici e disperate opere letterarie, pittoriche, musicali e teatrali. 

Il menù à la carte (sul cui frontespizio si leggerà: “Tutto il resto è noia, non ho detto gioia, ma noia, noia, noia”) sarà degno della serata finale: antipasto di yogurt “Pianto greco sul latte versato” con verdure appassite in “Mesticanza romana”; pizza cotta in forno di lagno; piatto di dellamorta in agroagro (mortadella “rovesciata” in sughetto assai aspro, poiché la serata “agra” non potrà assolutamente prevedere alcun “dolce”); vino Amarone; caffè rigorosamente senza zucchero; per finire, dopo un dessert di semifreddure al pungitopo, un liquore adeguato: lacrime di coccodrillo e… prosit (lo dice impassibile, senza slancio né entusiasmo). Dopo cena, invece di ritrovarci tutti insieme nel grande salone del ristorante (il rischio della bisboccia sarebbe troppo elevato), ciascuno sarà invitato a salire in camera propria, dove, a circuito chiuso, potrà assistere, solingo, alla serata dei Golden Tears,dove verranno premiati i vincitori delle varie categorie”. 

“I Golden Tears hanno delle nominations?”. “Ovvio. Ve ne ricordo alcune. Il cantante più triste dell’anno: A) Charles Aznavour; B) Fabio Concato; C) Tiziano Ferro. Oppure: il calciatore più triste della stagione: A) Giandomenico Mesto; B) Tristan Dingomè; C) Mario Balotelli. O ancora: la coppia di innamorati più triste della storia? A) Tristano e Isotta; B) Il Duo Deno; C) Dolce & Gabbana (per noi andrebbero subito eliminati per vizio di forma, il cognome del primo stilista)”.

Dovessimo scegliere, risulterebbero vincitori, nell’ordine: Tiziano Ferro per la categoria Cantanti Tristi (“Il dolore più profondo risuona almeno un’ora solo se ti incontro”, “Rimango presente, ma non sono com’ero”, “La vita come tu te la ricordi, un giorno se ne andò con te!”, altre spiegazioni non servono); Mario Balotelli per la categoria Calciatori Tristi (tra le motivazioni: i centrocampisti, vedendolo così afflitto per la sua vita da emigrante, non hanno più il coraggio di passargli la palla, l’estrema difficoltà in cui si trova spesso quando non sa più come spendere il denaro che si guadagna con piedi e sudore e, non ultima, la canzone-dedica che Tiziano Ferro sta scrivendo per lui, di cui possiamo anticiparvi una strofa: “Quando ti vedo correre e giocare / ti ringrazio perché mi tiri giù il morale“); 

Tristano (nomen omen) e Isotta per la categoria Coppia di innamorati Tristi (tenetevi forte: Tristano è rimasto orfano da bambino; decide di liberare la Cornovaglia e si innamora di Isotta, ma resta ferito da un colpo di spada avvelenato; per conquistare Isotta deve affrontare un drago, e resta ancora ferito; vuole sposare Isotta, ma c’è chi si oppone e con l’inganno è indotto a bere per errore un filtro magico; viene condannato a morte, ma riesce a scamparla; si sposa, ma non consuma il matrimonio; resta una terza volta ferito durante una spedizione militare; vuole essere curato da Isotta, ma la moglie lo inganna, gli dice che la sua amata non verrà mai, e lui si lascia morire. E Isotta? Si chiama così perché – come in un’immaginaria canzone-dedica di Tiziano Ferro a lei dedicata – napoletana di origine, ha voluto accorciare il suo vero nome, che era I ‘so 80 anni ca ‘sto appresso a chillo guaglione!)…

All’improvviso, immaginate una musica “a palla”, come dicono i giovani oggi. Trasecoliamo. Immaginate che non stiamo immaginando, e vediamo lo Zinga davanti a noi tutto scompaginato, con faccia paciosa e sorridente. “A voi la tristezza vi mette sonno, vero? Vi stavo parlando di un festival letterario, e vi siete impastati come due baccalà sul divano… Saranno mica state le canzoni di Tiziano Ferro, eh?”.