Ci sono cose verso cui si dovrebbe avere perlomeno un timore reverenziale e che Ridley Scott, per fortuna del (suo) cinema, non teme nemmeno un po’. La Bibbia e il confronto con I dieci comandamenti di Cecil B. De Mille. E il 3D, fattore inconsueto per lui amante della luce, scultore del riflesso sullo schermo e qui alle prese con una tecnologia che toglie dall’immagine il 30% della luce. In Exodus – Dei e Re, Scott affronta queste due sfide: non le vince del tutto, ma il tentativo va perlomeno onorato.
Al centro c’è lo scontro tra popolo di Israele e regno d’Egitto, tra Mosè, salvato dallo sterminio e cresciuto come figlio adottivo del faraone, e Ramses, fratellastro competitivo che non potrà accettare la scoperta di essere cresciuto al fianco di un ebreo. Dall’esilio di Mosè parte però la riscossa: Dio, sotto forma di un bambino, parla con il profeta e gli indicherà le mosse per liberare il suo popolo e condurlo nella Terra promessa.
Scritto da Adam Cooper, Steven Zaillian, Bill Collage e Jeffrey Cain, Exodus parte da un racconto che è il mito fondativo di un intero popolo e cultura e lo mescola con la teologia contemporanea e il tentativo di applicargli una traccia di realismo storico: il risultato è un kolossal a metà tra storia e fantasy che, nonostante le polemiche e le censure nel mondo, sa tenersi in equilibrio.
Pur cercando di dribblare il confronto con precedenti storici ingombranti, Exodus non può non tenere in conto il film con Charlton Heston o la versione animata Il principe d’Egitto, e allora lavora in contropiede: rendendo il più contemporaneo possibile l’approccio ai personaggi, ai contesti, agli eventi, non negando l’esistenza di Dio ma rendendola complessamente umana, sia nella descrizione del “personaggio”, sia nei suoi effetti (come la sequenza delle piaghe, costruita come credibile catena di eventi scientifici da Dio scatenati, o le tavole della legge scolpite a mano da Mosè), rendendo quindi credibile la presenza di un elemento soprannaturale in un contesto più o meno accurato.
Un punto di vista di certo interessante e un approccio alla materia che rende possibile anche sfumature narrative lodevoli, come la riflessione sui differenti modi di vedere – letteralmente – Dio. Scott però non riesce a rendere questo approccio davvero cinematografico, fatica a rendere significativi le storie e i personaggi, appesantisce l’andamento della sua epica e così Exodus dà il meglio di sé nei momenti di puro spettacolo, di abbandono alle leggi dello stupore hollywoodiano: le piaghe già citate, la battaglia iniziale o il Mar Rosso, soprattutto.
Momenti per cui vale la pena di vederlo solo su grande schermo (anche senza stereoscopia), per poter apprezzare la forza di certe inquadrature, di certe creazioni digitali. Meno per il resto, a partire da un pessimo Joel Edgerton come antagonista del bravo Christian Bale; ma sono dettagli, quasi minuzie nell’economia di un kolossal quasi vecchio stile. In cui quello che conta è lasciare lo spettatore a bocca aperta, come il fedele di fronte alla potenza del suo Dio.