Paolo (Alessandro Gassmann) è il prototipo dello yuppie italiano, con quel tocco di bonarietà che dovrebbe renderlo simpatico. Sua moglie Simona (Micaela Ramazzotti), scrittrice di romanzi erotici, è in attesa del primo figlio, e, per l’occasione, viene organizzata una cena a casa di Betta (Valeria Golino), sorella di Paolo. A completare il cast ci pensano Sandro (Luigi Lo Cascio), intellettualoide radical chic marito di Betta, e Claudio (Rocco Papaleo), l’amico d’infanzia. Una discussione sorta sul nome da dare al nascituro sfocia ben presto in una catena di frecciatine, rese dei conti e sfuriate che minaccia di smembrare l’apparente solidità del gruppo.
Un cast così ristretto impone, per forza di cose, un’impostazione teatrale alla pellicola, e infatti Il nome del figlio è tratto da una pièce per il teatro. L’appartamento di Betta e Sandro è la scena su cui si consuma l’intero dramma, se si eccettuano il prologo, l’epilogo, e una manciata di flashback che ci riportano nel passato della famiglia allargata dei Pontecorvo, dove vengono messi in luce quei rapporti di forza che verranno poi rinfacciati ed esasperati durante la cena.
Rimanendo fedele allo spirito “teatrale” della vicenda, Francesca Archibugi ha voluto forse omaggiare il Carnage di Roman Polanski, impietosa rappresentazione di tutto ciò che si cela dietro al perbenismo borghese. Qui l’intento pare lo stesso, ma, purtroppo, il risultato finale non riesce a essere scorretto e dissacrante quanto vorrebbe.
Il vero problema della pellicola è il suo voler far ridere a tutti i costi, anche quando il tono dovrebbe virare sul drammatico. Gli attori, a parte la Golino, sembrano non riuscire a prendersi sul serio; i conflitti – anche piuttosto interessanti, sulla carta – si allontanano così dall’intento primario, ovvero quello di far riflettere, e diventano dei siparietti assurdi in cui questo o l’altro personaggio possono sfoderare la battutina da cabaret. Battutine che, tra l’altro, riescono a malapena a strappare un sorriso.
Gli spunti – dicevo – sarebbero anche interessanti, ma avrebbero meritato una maggiore serietà per essere sviscerati. Non ha tutti i torti Paolo, quando accusa Sandro di voler solo dare aria alla bocca, e la controversia sul dare o meno un nome “scomodo” al nascituro è più sottile di quanto potrebbe sembrare; peccato che poi finisca tutto a tarallucci e vino, e che la goliardia più becera abbia la meglio sul conflitto. Il risultato è che si finisce per odiare certi personaggi, ma non, come in Carnage, perché tirano fuori il peggio di loro stessi, ma perché la loro evoluzione psicologica si rivela insulsa, se non addirittura inesistente.
Insomma, Il nome del figlio è un film che vorrebbe essere provocatorio, anticonformista, politicamente scorretto, ma alla fine si rivela per quello che è: la solita commediola con happy ending assicurato, infarcita di un irritante buonismo di fondo e – cosa ben più grave – totalmente fallimentare nel delineare i personaggi.