Il Giappone è abituato da vari decenni alla deflazione (una diminuzione generale dei prezzi abbinata a un calo dei consumi), quindi non stupisce che i nipponici siano avvezzi all’oculatezza, alla sobrietà, alla parsimonia. Insomma, al risparmio (e dài, diciamolo: al braccino corto) sono abituati da tempo. A tal punto che c’è addirittura un antico proverbio che ogni giapponese conosce a menadito. Dice il saggio: “Anata ga chokin o shitai baai wa akiraka, Kakebo wa mainichi sodan suru hitsuyo ga arimasu” (in italiano suona più o meno così: “Se risparmio su konti di kasa vuoi evidente, Kakebo devi konsultare kuotidianamente”).

Probabilmente l’unica parola dell’originale che non avete inteso è il sostantivo Kakebo. Già, ma allora, che cos’è il Kakebo (si pronuncia “cachèibo”)? In nostro sokkorso (giusto per fare pendant, lo scriviamo alla giapponese) si catapulta il solito, unico, inimitabile, sempre presente Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché non si è limitato a rubacchiarle (risparmiando molto sui prezzi e sul cambio) nel solo Sol Levante, ma ha arraffato cultura (e oggettistica varia) un po’ dappertutto in giro per il mondo: “Innanzitutto, va detto che il Kakebo non va confuso con il Kakubo di Rubick (piccola guida che insegna a risolvere il cubo di Rubick senza spendere troppo tempo né troppo denaro: costa infatti solo 660 yen, 5 euro circa). Il Kakebo è il Libro dei conti di casa, a cui i giapponesi affidano quasi ciecamente il proprio bilancio domestico. un volumetto illustrato sul quale ciascuno quotidianamente trascrive con la meticolosa e rigorosa diligenza di uno scriba medievale, le spese e i guadagni del proprio budget (sia single, sia familiare) entro schemi ordinati come solo gli orientali sanno porre in essere. Un metodo paziente, forse un poco zen, il cui scopo è individuare gli sprechi, generare consapevolezza e assicurare un risparmio automatico del 35%. Avere sempre il proprio Kakebo aggiornato evita lo stress da cattiva gestione finanziaria, sviluppa l’autodisciplina, accresce la conoscenza di sé, rafforza la tranquillità dell’anima e migliora la calligrafia”. Così Zinga dixit.

Proseguendo con le indagini, abbiamo scoperto che il Kakebo è stato inventato nel 1904 da Motoko Hani, figlia di un samurai e prima direttrice donna di una rivista femminile in Giappone. A indurla a tale scelta pare sia stato il comportamento di un garzone alle sue dipendenze, un certo Okyo Haisghèi, a quanto narrano le cronache uno scellerato dilapidatore di beni altrui.

Bene, sistemata la storia del Kakebo con brevi cenni di storia, passiamo alla filosofia del Kakebo con brevissimi cenni di filosofia. Perciò, in sintetica sintesi: il principio ispiratore del Kakebo è segnare tutte le proprie entrate e tutte le proprie uscite. Caspita che idea! Noi occidentali non ci saremmo mai arrivati da soli Sarcasmo a parte, lo spunto non è proprio così originale. A renderlo tale – nelle intenzioni della coppia Hani-Haisghèi – è la parte grafica. Sfogliandolo con dovizia (ma anche senza), da tutte le pagine del libro emerge un continuo fronteggiarsi di due specie animali, che la natura stessa oppone in un duello senza tempo: da una parte, il lupo, che rappresenta le spese; dall’altra, il porcellino, che simboleggia il salvadanaio. 

Che dire? A parer nostro, il concetto è già zoppo in partenza: il solo porcellino buono che conosciamo noi in Occidente è quello ben cotto al forno, arricchito di fragranti erbe aromatiche, quali il corbezzolo, il lentischio o l’olivastro, nonché l’immancabile mirto.

Ma non perdiamoci in facezie e andiamo a sfogliare il Kakebo, partendo naturalmente da gennaio. Il primo ammonimento è perentorio nell’individuare le buone intenzioni dell’anno. Leggiamo: “Si ricomincia! Durante le vacanze siete stati troppo indulgenti? È ora di riprendere le buone abitudini e iniziare l’anno con il piede giusto”. Facile a dirsi. Ma nella realtà qual è il piede più opportuno? Probabilmente il piede di porco, grazie al quale – se la banca è quella giusta – potremo vivere di rendita per tutto l’anno, salvo eccessi di impronte digitali disperse in giro.

A febbraio il sospetto di avere messo il piede in due scarpe (ma che mania quella di spendere tutti i soldi in calzature…) si farà quasi certezza, tra inviti a fissare gli obiettivi e decisioni da prendere sui piani di accumulo (accumulo de che? Si vive in Italia… c’è la crisi…).

A marzo aumenterà la sensazione di trovarsi così, su due piedi, quando il diario vi chiederà – senza mezze misure – di tirare le somme del primo trimestre e la pinguitudine del lupo farà sembrare il porcello un cane affamato.

Ad aprile il piedistallo sul quale vi eravate illusi di salire tramite proprio l’utilizzo del Kakebo, si sarà rivelato un traballante e incerto gradino, sul quale rischierete di inciampare tra spese fisse e spese variabili, somme e trascrizioni, budget e conti in rosso, tassi e mutui.

Per cui… morale della favola: se arrivate a Pasqua e le vostre finanze continuano a essere disastrate, mangiatevi il maialino e buttate il Kakebo. In bocca al lupo!