Ricordiamo le loro opere, le ammiriamo nei musei, le studiamo sui libri di arte. Non di tutti conosciamo la vita. Sono i pittori, le cui esistenze possono rivelarsi ordinarie o straordinarie, talvolta trasgressive, altre volte meno avventurose di quanto non ci aspetteremmo da menti visionarie. 

Il regista Mike Leigh ha deciso di dedicare un film, Turner, alla biografia del pittore romantico britannico William Turner, il grande paesaggista diventato celebre per l’uso rivoluzionario e sapiente della luce. Lo incontriamo in età già avanzata, impegnato a viaggiare in Inghilterra e in Europa alla ricerca di paesaggi da ritrarre, vascelli, mari in tempesta, naufragi e, più avanti, la ferrovia. 

Non è un uomo affascinante e piacevole. L’attore Timothy Spall dà il volto a un personaggio che potrebbe appartenere a un romanzo ottocentesco inglese: borbotta, è rude, diretto, non certo affettuoso. Vive a Londra con il padre anziano e la governante, non reagisce alle accuse della madre delle sue due figlie che non si capacita di tanto disinteresse nei confronti della famiglia e frequenta il regno della Royal Academy, dove si preoccupa di vedere esposti i suoi quadri nel modo migliore. 

un artista istintivo, lontano dai critici e dagli accademici, poco propenso a usare le parole non strettamente necessarie. Può farsi legare a un vascello per assaporare la tempesta, o trascorrere ore sulla spiaggia deserta a caccia della luce del sole. La fama, si sa, è volubile e cambia con il vento. Bersagliato da commenti negativi a corte e provato dalla morte del padre, Turner si ritira sulla costa e si affida alle cure amorevoli della proprietaria di una pensione, che gli rimane accanto fino alla morte. 

Il film di Leigh non è facile, né leggero. Procede con ritmo lento e indugia nei particolari, seguendo gli episodi che segnarono la vita del pittore e assecondando il suo carattere burbero e solitario. interessante vedere il mondo che cambia intorno a lui, l’arrivo del treno e della macchina fotografica, una novità che Turner accoglie con tagliente ironia e triste rassegnazione. 

Si avverte il senso di precarietà, si percepiscono la fragilità umana e le difficoltà di un’epoca che, nel biopic, di romantico ha ben poco. Leigh si concentra sulla visione artistica di Turner e, cesellando ogni scena e soffermandosi sui dettagli, cerca di restituire la stretta connessione tra vita e arte, realismo e interpretazione. Ha il coraggio di non idealizzare un uomo che, nella sua comunione con la natura, seguiva l’istinto, “vedeva” e “faceva” senza il filtro della pianificazione e della razionalità.

Il risultato è un lungometraggio che non cerca di compiacere, ma si sforza di ritrarre un soggetto difficile, caratterizzato da ombre e spigoli, nel tentativo non solo di raccontare una parte di vita, ma di aprire una finestra su un’epoca e su una visione artistica.