Clint Eastwood non ha mai nascosto la sua propensione a raccontare storie vere, o perlomeno verosimili. Sia che si tratti della drammatica parabola di Maggie Fitzgerald in Million Dollar Baby oppure della vita di J. Edgar nel film omonimo, il taglio biografico e “antropocentrico” del regista risulta ormai riconoscibile anche a occhi non esperti.
Secondo film dell’anno dopo Jersey Boys – guarda caso una biografia anch’essa, seppur contaminata dal musical -, fin dalle premesse American Snipersembra incarnare alcuni dei chiodi fissi di Clint Eastwood: guerra, patriottismo e un focus sulla psicologia del protagonista. In questo caso particolare, si tratta di Chris Kyle (Bradley Cooper), membro dei Navy Seals famoso per le sue doti da cecchino, tali da valergli il soprannome di Al-Shaitan (“diavolo”) tra le file nemiche. Il film ne segue fedelmente la biografia, dall’infanzia trascorsa sotto il triplice mantra “Dio, Patria, Famiglia” inculcatogli dal padre, all’incontro/matrimonio con Taya (la bella Sienna Miller), fino a ripercorrere le sue esperienze durante la guerra in Iraq, che finiranno per minarne irrimediabilmente anche la vita domestica.
Partiamo dai lati positivi, perché, dal punto di vista tecnico e registico, American Sniper merita applausi a scena aperta. Nonostante la gamma cromatica non sia molto varia, assestandosi perlopiù sul giallo ocra della sabbia irachena e il verde militare, la fotografia risulta sempre lucida e pulita, senza per questo rinunciare ad alcuni guizzi di particolare lirismo visivo. Il montaggio, poi, si sobbarca il titanico compito di mantenere alta la tensione per due ore abbondanti di film, e – cosa degna di nota – ci riesce, almeno nella prima metà. I tempi vengono gestiti alla perfezione; e se, da un certo punto in poi, la noia inizia a prendere il sopravvento, non è certo colpa del montaggio, bensì di una sceneggiatura di fondo fin troppo ripetitiva e retorica.
E se il primo difetto è in realtà un mio capriccio, visto che a un fan del genere le (numerose) scene di guerra risulterebbero non solo digeribili, ma decisamente ben fatte, non si può, tuttavia, chiudere un occhio sul patriottismo esagerato che trasuda da ogni millimetro di pellicola.
Il film parte molto bene, con un prologo che, seppur alla lontana, sembra strizzare l’occhio a tutti quei film di guerra in cui il conflitto è solo un pretesto per parlare d’altro. Mi vengono in mente Full Metal Jacket e Apocalypse Now tra gli esempi più celebri: film che anche un non appassionato del genere può apprezzare, perché pregni di significati e di chiavi di lettura diverse. Anche American Sniper, in pieno stile Eastwood, mette al centro l’uomo e la sua psicologia, indagando gli effetti che la guerra ha sulla sua psiche. Tali ripercussioni sono rese benissimo dal comparto tecnico (audio, montaggio, fotografia, ecc.) e le sequenze “rilassate” si contano sulle dita di una mano.
Come già detto, però, American Sniper è un film di guerra duro e puro. Chris è il classico americano che si arruola per difendere la Patria dal “nemico”, e il cui odio esplode in occasione dell’attentato dell’11 settembre. “Dio, Patria, Famiglia”, appunto. E in un primo tempo sembra che l’intento di Eastwood sia – sorprendentemente, viste le sua precedenti pellicole – quello di andare a intaccare, se non demolire, tale retorica medio-borghese americana. Ma ben presto il film si rivela per quello che è: un commosso omaggio alla “leggenda” Chris, presentatoci sì come uomo, con tutti i problemi e tentennamenti che tale condizione comporta, ma con il chiaro intento di sottolinearne, proprio in virtù di questa sua umanità, il profondo eroismo.
Viene qui fuori il Clint Eastwood più “americano” e patriottico, che personalmente fatico ad apprezzare fino in fondo. Sembrano lontani anni luce i tempi in cui, con Mystic River, il regista tratteggiava un cinico e spietato spaccato della società, mettendone in luce le ombre e gli scheletri nell’armadio.
In definitiva, American Sniper è tanto lodevole dal punto di vista tecnico quanto esageratamente retorico e patriottico sul lato della sceneggiatura. E di certo non aiuta la prematura morte di Chris Kyle a inizio 2013, che ha convinto la troupe ad affrettare le riprese del film, e probabilmente anche a darle un taglio così prepotentemente celebrativo. Una pellicola nel complesso buona, che sicuramente farà felice un certo tipo di pubblico, ma che (soprattutto nel finale) risulta ai più fin troppo stucchevole.