Su Canale 5 andrà in onda stasera Ultimo – L’occhio del falco, una miniserie diretta da Michele Soavi e ispirata alle reali avventure di Sergio De Caprio, noto alle cronache appunto come Ultimo. Si tratta del quarto atto, di una serie di fiction dedicate alla figura dell’uomo diventato famoso agli occhi dell’opinione pubblica italiana per aver arrestato Totò Riina e poi oggetto di un clamoroso procedimento giudiziario, tale da offuscarne parzialmente l’immagine. Vediamo la trama. La vicenda si apre nel gennaio del 2011, mentre si sta svolgendo il processo a carico del colonnello Roberto Di Stefano (Raoul Bova), un procedimento intentato dalla Procura di Palermo con le infamanti accuse di favoreggiamento e collusione con la criminalità organizzata. La vicenda alla quale si riferisce in particolare il processo, è quella che risale al gennaio 1993, quando lo stesso Di Stefano, detto Ultimo, si trovava alle prese con una missione speciale insieme agli altri uomini del Raggruppamento Operativo Speciale. Il ROS, infatti, era stato incaricato proprio in quel lasso di tempo di assicurare alla giustizia il pericoloso boss Salvatore Partanna (Enzo Rai), uno dei più spietati capi della Mafia, indicato in qualità di probabile mandante di una lunga serie di episodi che nel corso di quegli anni avevano messo a ferro e fuoco buona parte della Sicilia. In particolare, Partanna era stato identificato come colui che aveva ordinato le stragi in cui avevano perso la vita alcuni dei magistrati simbolo dell’Antimafia, insieme a decine di agenti delle rispettive scorte. Se all’epoca dei fatti, il blitz che aveva assicurato alla giustizia Partanna era stato salutato dai mezzi di stampa e da gran parte dell’opinione pubblica come un indiscutibile successo oltre che come un fiero colpo vibrato alla criminalità organizzata, a distanza di diciotto anni lo stesso Ultimo si ritrova a sua volta alle prese con una accusa infamante, ovvero il non aver perquisito il covo mafioso nel corso delle operazioni successive all’arresto del boss. Un comportamento tale da spingere la procura palermitana a metterlo sotto accusa come fiancheggiatore. La linea difensiva di Roberto Di Stefano è incentrata in particolare sul fatto che a spingerlo a lasciare il covo intatto, all’epoca dei fatti, era stata la volontà di attendere che gli uomini di Partanna, all’oscuro di quanto era accaduto nel frattempo, vi si recassero e assicurarli così alla giustizia insieme al loro capo. Una tesi difensiva forte di una sua logica di fondo, che però non viene recepita del tutto dalla giustizia ordinaria, anche se il processo si conclude con il non luogo a procedere.
In conseguenza di questa sentenza, tale da non sgombrare il campo da ogni possibile dubbio, Ultimo viene perciò allontanato dal ROS, entrando così a far parte di una sezione distaccata del Nucleo Operativo Ecologico. Anche nella sua nuova funzione, Di Roberto riesce comunque a fare valere ben presto le sue eccellenti qualità, anche grazie all’ausilio fornito da una squadra molto affiatata e valida. La guerra contro la ‘Ndrangheta e i veleni tossici che la stessa dissemina sul territorio, senza curarsi delle possibili conseguenze, vede Ultimo e i suoi collaboratori assestare infine un colpo risolutivo alla malavita locale, assicurando alla giustizia il boss Bruno Polimeni (Gaetano Amato). A consentire di spezzare il suo dominio sulla Calabria, sarà in particolare Totò Murace (Ivan Castiglione), il suo braccio destro, spietato assassino spinto a pentirsi dalla scoperta di essere in realtà il padre di Diego, uno degli uomini della squadra di Ultimo. Proprio nel corso della fase finale dell’operazione, Di Roberto viene tra l’altro seriamente ferito da un killer inviato da Partanna, che anche dal carcere duro seguito all’applicazione del 41 Bis, ha deciso di vendicarsi, riuscendo comunque a sopravvivere all’attentato. La storia narrata nella fiction rielabora liberamente alcune vicende che fanno ormai parte della storia criminale del nostro paese. Se Di Roberto è infatti ispirato a Sergio De Caprio, Salvatore Partanna non è altri che Totò Riina. Molti altri riferimenti disseminati lungo la narrazione fanno poi riferimento a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino, due delle tante vittime della vera e propria guerra inscenata dalla Mafia nel corso degli anni ’90.