Se si scava nella cinematografia italiana dal Dopoguerra a oggi si scopre che il documentario, forma “onesta” per eccellenza, è stato spesso usato per descrivere le realtà cittadine, mettendone in luce ora gli aspetti negativi, ora i positivi. Il regista Ermanno Olmi, in particolare, ha dedicato più di una pellicola alla sua Milano, tra le quali una delle ultime, nonché forse più conosciute, è Milano ’83.
Milano 2015 si vuole porre già dal titolo come successore spirituale del lavoro di Olmi. Le analogie non si fermano allo spunto di partenza, ma arrivano persino a influenzare la singola inquadratura, e chi ha visto il documentario di Olmi non faticherà a riconoscere alcune riprese del Teatro alla Scala, o la voglia (soprattutto da parte di uno dei sei registi, Giovanni Soldini) di indugiare sullo storico e ormai iconico profilo del tram meneghino.
La più grande differenza con il passato, però, è la già accennata presenza di sei registi. O meglio, di tre registi più o meno affermati (Walter Veltroni, Giovanni Soldini e Giorgio Diritti) più tre artisti che, prendendo in mano per la prima volta la macchina da presa, hanno voluto raccontare Milano (Cristiana Capotondi, Roberto Bolle e il musicista Elio). Un film corale, insomma, tenuto insieme solamente dalla supervisione di Cristiana Mainardi e dallo stesso intento di base: parlare di Milano.
Difficile analizzare ogni singolo cortometraggio che compone il film, ma un’osservazione generale è che la scelta di affidare la regia a dei non professionisti si sente. Se Olmi girava con una precisa idea autoriale in mente – il solo soffermarsi sui volti dei passanti è tipico della sua poetica -, in questo caso è difficile scrollarsi di dosso la sgradevole impressione che si stia guardando un filmino amatoriale ad alto budget.
Voluto e girato alla vigilia di Expo, Milano 2015 vuole essere parte di un più grande progetto urbanistico e sociale volto a far riscoprire e rivalutare il capoluogo lombardo. Il fatto stesso che il film, poco dopo l’uscita al cinema, verrà trasmesso su Sky, è indice della volontà da parte della produzione di fare un film nazional-popolare, rivolto a tutta Italia. La realtà dei fatti, però, è ben diversa, e il film risulta in larga parte un’autocelebrazione rivolta quasi esclusivamente a chi Milano la conosce e la vive tutti i giorni.
Milano 2015 non riesce a vivere al di fuori di una cerchia ristretta di spettatori e, benché chi scrive si possa definire innamorato di Milano, c’è da chiedersi se un romano o un cagliaritano possano apprezzare un film che rimane volutamente campanilistico.
Gli spezzoni più interessanti sono sicuramente quelli in cui l’aspetto documentaristico o da “dietro le quinte” prevale. Cristiana Capotondi, ad esempio, ci offre uno spaccato della redazione del Corriere della Sera in via Solferino, alla vigilia di un evento come l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, mentre Bolle, come prevedibile, filma il dietro le quinte di un balletto alla Scala. Veltroni, invece, porta sullo schermo la testimonianza di chi ha vissuto l’epoca d’oro del velodromo Vigorelli, utilizzando storie e documenti d’epoca come aveva fatto nel suo precedente documentario dedicato alla figura di Berlinguer.
Il film si divide così tra corti estremamente documentaristici e specifici (i più interessanti, anche solo per una forma sincera di curiosità) e altri che, dopo un iniziale e brevissimo attimo di stupore verso metodi di ripresa sicuramente d’effetto, nonché dispendiosi, lasciano allo spettatore l’unica soddisfazione di riconoscere sul grande schermo il quartiere in cui va a portare a spasso il cane.