Piera Maggio, mamma della piccola Denise Pipitone, scomparsa da Mazara del Vallo il 1 settembre del 2004 torna davanti alle telecamere de “La vita in diretta” per dare sfogo al suo doloro dopo il bruttissimo scherzo che ha subito. Nei giorni scorsi, una bambina di 11 anni le ha scritto su Facebook dicendole di essere la piccola Denise. Poche parole che hanno riempito di speranza il cuore di una madre che non si è mai arresa e che oggi, nel programma pomeridiano di Raiuno, torna a parlare dell’ingiustizia subita. “Nessuna notizia certa sull’esito del test del DNA”, dice Piera Maggio riferendosi al test del Dna effettuato sulla bambina di 11 anni che agli inquirenti ha rivelato di aver voluto fare uno scherzo. Anche la madre della bambina di Tito (Potenza) ha chiesto scusa a Piera Maggio: “Mia figlia ha 11 anni e non è Denise. Chiedo scusa per lei”.
La redazione de La vita in diretta è già sveglia e insieme agli autori del programma che preparano la puntata fi oggi c’è anche Marco Liorni, che conduce il programma di Rai Uno al fianco di Cristina Parodi. In una foto pubblicata dallo staff che cura l’account Twitter de La vita in diretta vediamo Liorni e gli altri mentre si concedono una pausa caffè prima di tornare al lavoro sulla puntata che andrà in onda alle 14.05 e poi alle 16.40 dopo Torto o ragione? Verdetto finale. Clicca qui per vedere lo scatto.
Torna il consueto appuntamento con La vita in diretta, che raggruppa vari argomenti nel pomeriggio di Rai 1 con alla conduzione Marco Liorni e Cristina Parodi alla ricerca di nuove notizie e approfondimenti sui principali casi che riguardano il nostro paese e non. In attesa di scoprire cosa accadrà nella puntata di oggi, vediamo insieme quanto andato in onda ieri. Ancora al centro dell’attenzione è il caso di Elena Ceste. Non è pensabile per i giudici il mantenimento della potestà genitoriale al signor Michele Buoninconti. Dal momento della scomparsa della madre e fino al ritrovamento del suo cadavere, secondo i giudici, Michele avrebbe fatto vivere i figli isolati dal mondo esterno, un una condizione che li avrebbe danneggiati dal punto di vista psicologio. Così il Tribunale dei Minori ha deciso che i bambini non dovranno più vedere il loro padre. Intanto gli avvocati annunciano ricorso contro questa decisione arrivata troppo presto. Vittime sono questi quattro ragazzi, che dovranno convivere con la perdita della madre e l’accusa di omicidio nei confronti del padre. Patrizia, la cugina gemella di Elena, è la persona che aveva con lei rapporti molto stretti e quest’oggi ha raccontato che Michele dopo la scomparsa di Elena si era chiuso in casa con i suoi bimbi, li seguiva ma li faceva uscire molto poco, anche giustamente. La presenza di altre persone non era necessaria perché lui diceva di farcela da solo e di riuscire a guardare i suoi bambini, poi quando aveva ripreso a lavorare spesso chiedeva ai nonni di guardarli per quella giornata o per quella sera. I bambini pare avessero chiesto di vedere il papà e i nonni non erano contrari, ma questo prima che arrivasse la decisione dei giudici. I bambini sicuramente hanno bisogno di stabilità e i nonni gliela stanno dando.Mario Adinolfi è stato invitato in studio per parlare con Marco Liorni di come in Italia esistano nel mondo del lavoro ancora i servi della gleba, persone che vengono reclutate in strada da veri e propri caporali senza pietà. Il tutto per miseri quattro euro l’ora, qualcosa di non dignitoso eppure necessario a quelle persone per andare avanti. L’elemento mancante in questo rapporto tra feudatario e servo della gleba mostra la mancanza di un elemento fondamentale, che è il controllo dello Stato, dell’Istituzione. Un inviato è andato a sentire cosa hanno da dire queste persone che aspettano in strada che qualcuno passi a prenderli per lavorare. Ha trovato così un gruppo di muratori che sono in Italia già da molto tempo e che raccontano che quando si lavora a nero non è detto neanche che il datore dia un compenso. Loro si lamentano perché per restare in Italia avrebbero bisogno di un contratto di lavoro. Se poi ci si fa male non si è più niente, perché si è completamente fuori dal mondo del lavoro.La mamma di Alessandra chiede giustizia per l’assassino di sua figlia. Lui le aveva promesso tante volte che avrebbe smesso di bere e di drogarsi, finchè una sera se l’è trovato nel bagno proprio a bere. Lui si è umiliato perché stava con i suoi amici. Fra loro c’era una forte differenza di età, lei 30 anni, lui 50. I genitori di Alessandra lo conoscevano bene, ma lei lo amava e voleva dargli una possibilità che lui però non ha saputo sfruttare. La storia d’amore durava da circa un anno e mezzo. Alessandra però lo aveva nascosto sul cellulare dietro un altro nome. Le donne vittime di violenza, come Alessandra, spesso sbagliano nella convinzione di poter salvare gli altri. Quell’uomo però non era lucido e non faceva altro che andare tutti i giorni al bar. Anche Daniela, la sorella di Alessandra, ha confermato che tutta la famiglia aveva tentato di tenere sua sorella lontano da lui, senza però riuscirci. Lei stessa per aiutare Alessandra era andata anche a conoscerlo di persona per capire che persona fosse.