Il cinema di prigioni fisiche, morali e concettuali, di torture dell’intelletto prima e del corpo poi di Yorgos Lanthimos si sposta per la prima volta dalla natia Grecia, e dalla lingua greca, per approdare in Europa con un film internazionale girato in lingua inglese, che però fortunatamente non tradisce lo spirito delle sue opere precedenti, né le aspettative di chi lo apprezza dopo il bellissimo Dogtooth e Alps.
The Lobster racconta di un gruppo di persone che vivono in una società in cui si è costretti a vivere in coppia, a conoscersi e sposarsi perché è vietato essere single. A favorire l’accoppiamento, hotel in cui c’è un limite di tempo per conoscersi e fidanzarsi, altrimenti si viene tramutati in animali. Ma c’è una resistenza in agguato, che pratica l’obbligo della castità e il divieto dell’amore.
Scritto da Lanthimos con Efthymis Filippous e vincitore del Premio della giuria al Festival di Cannes 2015, The Lobster è un dramma sottilmente venato di fantascienza, distopico e allegorico, ricco di perversa ironia che diventa una sorta di saggio e al contempo una cupa parodia dei film per teenager stile Hunger Games, con personaggi in giacca e cravatta anziché in vesti da combattimento.
Il film si divide e si ambienta in due luoghi e due contesti speculari, spezzandosi inusualmente in due tronconi: da una parte l’albergo con i suoi personaggi, i suoi riti, le sue dinamiche e regole che raccontano l’impossibilità di amare in un mondo in cui il sentimento è una patente comunitaria anziché un sentimento; dall’altra un bosco, il covo di una resistenza che costringe l’essere umano – anche qui schiavo di regole assurde – a rinunciare all’amore, raccontando l’impossibilità della solitudine, la spinta umana verso l’affettività.
Una doppia e atroce parabola che Lanthimos calibra con fare meno cinico del solito, meno assolutista dei registi che a lui si ispirano, senza negarsi l’umorismo tagliente e beffardo, ma guardando con paradossale pietas ai tormenti dell’essere umano. Lo stile è freddo, controllato e curioso, ma non diventa mai gelido e riesce qui e lì ad aprirsi quasi a una sorta di umanesimo degradato.
Il regista sfrutta un cast di stelle composto da Colin Farrell, Rachel Weisz e John C. Reilly per sondare le regole borghesi dell’amore e del sesso e comporre un’analisi chirurgica dei rapporti sentimentali e sociali nelle civiltà contemporanee applicata a una narrazione padrona, non del tutto fluida, ma stimolante proprio nello spezzarsi sul più bello e ripartire, nell’affrontare le due facce della medaglia in modo speculare e coraggioso.