Questa sera, sabato 24 ottobre 2015, un nuovo appuntamento con Che fuori tempo che fa, condotto da Fabio Fazio, in onda su Rai Tre Tra gli ospiti in studio francesco Guccini. Insegnante, giornalista, cantautore, scrittore. Lui è il Maestrone, o semplicemente Francesco Guccini da Modena, classe 1940, considerato tra gli esponenti di maggior spicco della musica cantautoriale italiana e internazionale. Eppure Francesco (come si faceva chiamare ai suoi inizi di musicista), modenese di nascita e bolognese e di Pavana (Pistoia) di adozione, non è uno dei classici bambini prodigio capaci di veri e propri miracoli precoci di fronte a uno strumento. Intendiamoci, la passione per la musica nasce abbastanza presto, ma a questa Guccini accompagna sempre una passione altrettanto forte per le piccole grandi realtà che lo circondano e per le parole, con tutta la potenza simbolica che possono esprimere. Si appassiona alla chitarra e comincia a coltivare il talento musicale durante l’adolescenza, affiancandosi a formazioni giovanili tra cui gli Snakers (dai quali sarebbero successivamente nati gli Equipe 84) e componendo alcuni lavori di buon pregio, che però verranno portati al successo inizialmente da altri gruppi come Equipe 84 (Auschwitz, È dall’amore che nasce l’uomo) o i Nomadi (Noi non ci saremo).
Il debutto ufficiale arriva nel 1967 con Folk Beat n.1, e nonostante lo scarso successo commerciale fornisce già un’idea della sua impronta stilistica: arrangiamenti musicali quasi scarni e una grande attenzione alle parole, sia dal punto di vista dei contenuti sia della forma semi-poetica. È un modo nuovo di fare musica, che strizza l’occhio al Talking Blues di matrice statunitense e con il quale il Maestrone dimostrerà di trovarsi davvero a suo agio. Nel frattempo comincia anche una lunga carriera di insegnante di lingua italiana al Dickinson College, sede distaccata dell’Università della Pennsylvania, ma ormai la musica è una delle sue principali vocazioni. Già nel 1970 esce il suo secondo album Due Anni Dopo, in cui mescola l’inquietudine del tempo che passa a scene caricaturate dalla vita quotidiana di Bologna, città non natia ma che sarà sempre nel cuore del cantautore. Il primo successo arriva però nel 1972 con Radici, considerato uno dei punti più alti della sua produzione artistica. L’album contiene alcune delle sue canzoni simbolo come ”La Locomotiva”, ”Incontro o Canzone dei Dodici Mesi”, ma la vera consacrazione si avrà nel 1976 con Via Paolo Fabbri, 43, album che prende il nome dalla sua prima residenza in terra bolognese. In Via Paolo Fabbri 43 si può riscontrare il Guccini completo; più poeta in ”Canzone quasi d’Amore” e ”Il Pensionato”, graffiante in ”L’Avvelenata” o intimista nell’omonima Via Paolo Fabbri.
Con questo disco arriva la vera e propria consacrazione dell’artista, in un successo quasi inarrestabile. Negli anni ’80, in due album importanti come ”Metropolis” (1981) e ”Guccini” (1983), focalizza la propria attenzione su temi urbani e di viaggio, nel primo caso cantando-poetando su città iconiche come Milano, Venezia, Bisanzio e la stessa Bologna, nel secondo proponendo canzoni fondamentali come ”Autogrill” e ”Gulliver”, sul tema proprio del viaggio e dell’incontro tra amanti. Negli anni ’90 prende invece piede il tema dell’amore, in forma spesso malinconica anche per via della fine della sua relazione con Angela, madre di sua figlia Teresa. Temi che si ritrovano in due degli album del periodo, ”Quello che non…” (1990) e ”Parnassius Guccinii” (1993), dalle atmosfere più cupe con canzoni come ”Samantha” e ”Farewell”. Negli anni 2000 e 2010 ritorna invece la tematica dello scorrere del tempo, oltre a quello del viaggio, temi trattati sempre con quello stile tra il poetico e il graffiante, tipico di Guccini. Il tutto viene espresso in maniera eccelsa nei due successi ”Stagioni” (2000) e ”Ritratti” (2004), con in quest’ultimo l’aggiunta di dialoghi ipotetici con personaggi della Storia antica e moderna come Ulisse, Cristoforo Colombo ed Ernesto “Che” Guevara. Con ”L’Ultima Thule”, del 2012, Guccini ha posto ufficialmente fine alla sua carriera di cantautore concentrandosi su quella di scrittore, che già gli ha regalato soddisfazioni grazie a opere come ”Cròniche epafàniche” (1989), il suo esordio, ”Vacca d’un cane” (1993) e ”Cittànova Blues” (2003), che costituiscono un’ideale “trilogia” che racconta varie fasi della sua stessa vita. Un artista assolutamente multiforme e capace di parlare con successo in maniera trasversale a tutte le generazioni.