Tra gli ospiti più attesi e se vogliamo “insoliti” della puntata di questa sera di “Che fuori tempo che fa” vi è senza dubbio Damiano Marchi, antropologo italiano balzato nelle ultime settimane agli onori della cronache per la scoperta del cosiddetto “Homo Naledi”, antenato dell’uomo le cui tracce sono state ritrovate a Johannesburg in Sudafrica dal team della National Geographic Society di cui il ricercatore 43enne faceva parte. Ad interrogare Marchi sull’importanza di questa scoperta sarà come di consueto Fabio Fazio, ma a dare notizia della presenza su Rai 3 di Marchi è stato anche il profilo twitter dell’Università di Pisa, ateneo che ha riaccolto da tre anni a questa parte l’antropologo italiano, dopo 6 anni trascorsi alla Duke University negli States e uno in Sudafrica. Qui il tweet dell’Università di Pisa.



Damiano Marchi, ospite di Fabio Fazio a Che fuori tempo che fa di sabato 3 ottobre, è balzato recentemente agli onori della cronaca, per la scoperta dellHomo Naledi. Marchi è un antropologo dellUniversità di Pisa ed è il solo italiano a far parte del team che ha fatto questa eccezionale scoperta. Marchi ha 43 anni, da tre anni è rientrato in Italia, dopo aver vinto il concorso da ricercatore e aver trascorso sei anni alla Duke University degli Stati Uniti e uno in Sudafrica. La squadra di ricercatori della National Geographic Society è guidata da Lee Berger e a 50 km circa da Johannesburg, in Sudafrica, ha fatto una scoperta che potrebbe capovolgere le basi della paleontologia: sono state ritrovate dei fossili di ossa di una specie umana che finora era sconosciuta e non era stata catalogata.



Il numero di reperti è piuttosto significativo, circa quindici corpi, di quello che è stato ribattezzato Homo Naledi, naledi significa stella nella lingua Sesotho, ed è un richiamo al luogo del ritrovamento, la grotta stella nascente. Nelle sue interviste è lo stesso Marchi a raccontare quale sia la grande rilevanza di questa scoperta: luomo eretto, diversamente da quanto creduto finora dai paleontologi, non aveva perso la capacità di arrampicarsi sugli alberi. Le ricerche sono ancora a una fase preliminare, ci vorrà tempo perché si possa avere delle risposte in grado di stabilire esattamente la datazione di questi reperti e la loro posizione nellalbero genealogico della specie umana, se lHomo naledi possa essere, ad esempio, un anello di congiunzione con gli australopitechi. Il ruolo di Damiano Marchi, allinterno del team guidato da Berger, è quello di studiare gli arti inferiori dei reperti, in particolare tibia, perone e femore. Dagli studi preliminari, sembra che lHomo Naledi fosse in grado di correre per brevi tratti, inoltre si tratta di ossa fragili.



Un altro dettaglio importante è il luogo del ritrovamento e Marchi ne spiega il motivo: le ossa sono state trovate in una grotta, accessibile da un cunicolo molto stretto, ad accederci infatti sono stati i geologi, dove sono stati ritrovati solo i resti umani, senza utensili o altri elementi, questo potrebbe far pensare a una sorta di luogo di sepoltura, sebbene primitivo e molto, molto rudimentale. Certo far parte di questo team, che è riuscito a fare questa scoperta così eccezionale e forse rivoluzionaria deve essere stato motivo di grande orgoglio per Marchi. Che senza falsa modestia, ammette che i ricercatori italiano sono in grado di lavorare nonostante le poche risorse e i pochi finanziamenti, a differenza dei colleghi stranieri, purtroppo è costretto ad ammettere che la mancanza di sovvenzioni rende il lavoro molto difficile, motivo per il quale per sette anni ha lavorato allestero, prima di rientrare nella città e nellateneo dove si è lavorato. Il suo racconto stasera da Fabio Fazio sarà sicuramente affascinante e in grado di inorgoglire il pubblico italiano.