James “Whitey” Bulger è stato un piccolo gangster di South Boston negli anni ’70, leader della gang irlandese Winter Hill. Fratello di quello che sarebbe diventato senatore di Boston, Whitey si fa ben presto un nome e una reputazione all’interno della malavita locale dopo aver scontato una pena nel carcere di massima sicurezza di Alcatraz.
In contrasto con la famiglia italo-americana degli Angiulo per il controllo del territorio, l’occasione per espandere il proprio impero del crimine si presenta a Whitey quando, dopo il ritorno a South Boston dell’amico d’infanzia nonché agente federale John Connoly, il gangster intravede la possibilità di cooperare con l’FBI; sotto l’ala protettiva della legge Whitey riesce così a diventare uno dei criminali più spietati e, in seguito, ricercati degli Stati Uniti. L’arresto, avvenuto nel 2011 dopo 16 anni di latitanza, ha consegnato la sua figura al pubblico dominio.
Black Mass, film presentato in anteprima alla 72° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, per la regia di Scott Cooper, segue l’ascesa e il declino del gangster irlandese. A interpretarlo un quasi irriconoscibile Johnny Depp, qui in uno dei ruoli più difficili della sua non breve carriera e incredibilmente convincente nel ruolo dello spietato gangster, con buona pace di chi lo vuole relegare solamente a ruoli istrionici e sopra le righe. Whitey è, sì, un personaggio squilibrato, ma è totalmente privo di quell’ironia fumettistica che, complice l’aver interpretato l’iconico pirata Jack Sparrow in passato, l’attore sembrava essersi cucito addosso. I momenti di intimità famigliare, i rapporti con gli altri membri della banda e amici, la sua concezione distorta della morale; Depp riesce a interpretare un personaggio complesso e stratificato, affettuoso e glaciale al tempo stesso.
Accanto alla figura di James Bulger grande spazio viene dato al fratello senatore Billy (Benedict Cumberbatch), al giovane garzone Kevin (Jesse Plemon), ma è soprattutto su John Connoly (Joel Edgerton) e sul suo rapporto con Whitey che il regista decide di battere il ferro. È lui che, accecato dall’ambizione e dall’ammirazione verso l’amico d’infanzia, permetterà a quest’ultimo di diventare quello che, come reca il sottotitolo italiano, è ricordato come l’ultimo gangster.
Più volte i personaggi ricordano con un non celato orgoglio la propria comune infanzia “sulla strada”, nei sobborghi di un quartiere in cui la legge viene vissuta come un ostacolo da aggirare. L’orgoglio, il senso di appartenenza a una “famiglia” non possono non ricordare un modo di rappresentare la figura del gangster che vede in Martin Scorsese un padre spirituale, e in Quei bravi ragazzi la punta di diamante. C’è molto della pellicola di Scorsese in Black Mass, nel bene e nel male.
Il tentativo di tessere una solida rete tra i personaggi è lodevole, così come il ricorso a una regia che alterna episodi di violenta tensione a quadretti più rilassati. Purtroppo, però, se la tensione riesce a raggiungere dei momenti di grande impatto (merito anche della colonna sonora), lo stesso non si può dire delle scene di vita quotidiana che, messe a confronto con l’illustre modello, ne escono con le ossa rotte. Il legame tra Whitey e John, ad esempio, così tanto decantato e centrale nella narrazione, viene costantemente evocato senza però essere mostrato.
Dietro a una regia a tratti virtuosistica che si rifà ai gangster movies del passato manca quel tocco personale necessario a stabilire l’empatia. Billy, Stephen Flemmi, Johnny Martorano, Kevin, sono tutti personaggi di contorno indistinti, destinati a non sopravvivere allo scorrere del tempo, pedine in una pellicola che per altri aspetti merita di essere vista.