L’Italia, come tutti ben sappiamo, è il Paese dei mille campanili. Il censimento è approssimativo per difetto, perché il conteggio esatto, in verità, sarebbe 1.001: nel computo, infatti, molti si dimenticano di Achille Campanile, scrittore, giornalista e sceneggiatore che nel suo campo forse di maggior successo, l’umorismo surreale e i giochi di parole, ha raggiunto guglie inarrivabili (prova ne è questo bellissimo dialogo, da Tragedie in due battute. Il Fiorellino: “Che bella cosa essere nato vicino a te. Così tu mi ripari dalla pioggia. Ma dimmi: sei un vero ombrello o fungi da ombrello?”. Il Fungo: “Fungo”). Sta di fatto, però, che aver disseminato di meravigliosi campanili (detto fra noi: una gran bella cosa, il suono festoso delle campane…) la nostra bella e amata Italia ha generato un vizio tipicamente italico: il campanilismo. Non c’è borgo, paese, cittadina, città capoluogo o metropoli che non vanti un proprio record.



Esempi ce ne sarebbero a bizzeffe, dalla A di Abano Terme (Padova) alla V di Vizzini (Catania). Aosta, per esempio, è prima a livello nazionale nell’innovazione commerciale, con la potenza dell’alfa privativa a far da detonatore: A-osta, cioè nulla osta, il tanto sospirato permesso-consenso, rilasciato dall’autorità amministrativa, che dichiara che nulla si oppone al compimento di un’attività. Vuoi aprire una centrale nucleare a pedali protonici? Ad A-osta si può! Vuoi gestire un market che si occupi di oggettistica voodoo, dalle pozioni medicinali alle bamboline infilzate dei film horror, dai libri di streghe ai serpenti essiccati? Ad A-osta si può! Vuoi aprire uno stabilimento balneare stile hawaian-polinesian-maldivian? Ad A-osta si può!



E che dire di Gorreto, 106 abitanti, alle porte di Genova? Che è sicuramente il paese più vecchio d’Italia: età media 65 anni. Pare che la colpa sia da attribuire a un gene che fa incanutire anzitempo. Ad abbassare la veneranda media è una bimba, nata da una coppia di rumeni emigrati proprio a Gorreto nemmeno un mese fa e che a dicembre compirà già, per stare al passo con l’età del paese, 17 anni. A Gorreto, oggi sei apprendista alle prime armi, dopodomani pensionato ai giardinetti. Qui invecchia precocemente qualsiasi cosa: compri un’auto oggi e venerdì c’ha già su 80mila km, tra un paio di settimane è da rottamare. 



Viterbo, invece è la città che in Italia conta il record assoluto di presenza di residenti viterbesi (quasi il 99,9%). E Verbania, il capoluogo più ciarliero e verboso d’Italia? Qui tutti parlano (e sparlano) con tutti, in continuazione, su qualsiasi argomento: discussioni, chiacchiere da bar, fitte conversazioni, intriganti dialoghi che non hanno soluzione di continuità. Ciascuno vuole essere in diritto di avere l’ultima parola, in piazza (con parole al vento) come al supermercato (spendendo parole buone), in Consiglio comunale (quante parole d’ordine…) come allo stadio (dove si sentono volare parole grosse). Sicché, di parola in parola, Verbania è diventata famosa nel mondo. Chi di voi, infatti, non conosce il noto adagio: Verbania volant, scripta manent?

Insomma, in Italia è proprio vero: paese che vai, primato che trovi. E ad aumentarne il novero, proprio pochi giorni fa è arrivata Rovigo, che è stata insignita del titolo di “città più noiosa d’Italia”. Non proprio da vantarsene, anche se Rovigo è sempre stata una sorta di città invisibile. Chi sa dov’è Rovigo? Nessuno. Si parla mai di Rovigo? Proprio mai. Che cosa succede a Rovigo? Niente di niente. Come ha fatto questo capoluogo a conservare nei secoli la sua impercettibilità? Merito, innanzitutto, della nebbia. A Rovigo la foschia è di casa, tanto che in confronto Londra può essere considerata una capitale solare e radiosa. La nebbia è così fitta che anche sulle cartine geografiche dell’Italia Rovigo non appare, avvolta com’è nella sua penombra grigiastra. Quando la bruma non sale spontaneamente, i rodigini la importano – come da consumata abitudine – dal Nord Europa, Svezia e Scozia le nebbie preferite. Una ditta di spedizioni locali, la Nebulon & Bigi, si occupa da sempre del trasporto: colonne di Tir cinerei che vengono giù dal Brennero o dal Cantone dei Grigioni con il loro carico caliginoso. 

Fino a ieri, dunque, invisibile e oggi anche noiosa. Non da oggi, a dire il vero, ma almeno da cinque secoli. Avete mai sentito parlare dell’Accademia dei Concordi? Si tratta di un istituto culturale cittadino, fondato nel Seicento per esaltare l’arte veneta, pittura, letteratura e musica in particolare. L’importanza di tale istituzione ha di fatto cancellato le precedenti Accademie sorte in città, tra le quali soprattutto quella degli Addormentati, sciolta nel 1562: in grave sospetto di eresia, come qualche cronaca del tempo lascerebbe intendere, in realtà lo scioglimento avvenne perché i suoi componenti, ogniqualvolta trovavano l’occasione per riunirsi, forse a causa delle smodate quantità diprosecco (eccezionale da queste parti) prendevano sonno precocemente, russando in maniera così energica da essere considerati dei veri e propri disturbatori della quiete pubblica. 

Attualmente, l’Accademia dei Concordi è ancora oggi un’istituzione famosa per l’intesa e l’affiatamento dei suoi membri. Le sedute avvengono con cadenza settimanale e il rituale si ripete da più di 500 anni. Il presidente apre ufficialmente l’assemblea e poi legge i vari punti all’ordine del giorno. A ogni ordine del giorno scandito dal presidente ciascuno dei 200 componenti dell’Accademia è chiamato a dare il suo assenso o dissenso. Dunque, nell’aula magna dell’Accademia dei Concordi è un incessante, monotono, lento e uniforme susseguirsi del medesimo trisillabo: “Concordo”. Prendete la seduta di oggi. Presidente: “Oggi, addì 10 novembre, dichiaro aperta la 245esima seduta dell’anno solare 2015 dell’Accademia dei Concordi”. I 200 accademici (uno alla volta, ben inteso): “Concordo”; “Concordo”; “Concordo”; “Concordo”; “Concordo” e così a seguire. Presidente: “Do ora lettura del primo punto all’Ordine del giorno: autorizzazione all’acquisto di una gomma per cancellare. Preventivo del costo: 0,65 euro”. Gli accademici (che sono sempre 200, uno alla volta): “Concordo”; “Concordo”; “Concordo”; “Concordo”; “Concordo”… Se dicessimo “una palla sesquipedale” renderemmo bene l’idea.

Una palla, però, della quale i rodigini hanno tratto una consolidata tradizione, non priva di sbadigli, torpori e colpi di sonno. I turisti (pochi invero, immancabili sono solo i giapponesi, consapevoli del tedio cui andranno incontro, viste le loro tradizioni in patria… avete in mente il teatro kabuki?) cercano di ribellarsi a questa accidia dilagante. Un po’ di cinema potrebbe fare al caso loro. Approfittando della Settimana Rodigina (evento cittadino che si ripete ogni settimana, tanto per intenderci) al Cinema Nuovo (che di nuovo ha solo il nome della vecchia sala), viene proiettato, per il 27° anno di fila, lo stesso film: “Stessa, spiaggia, stesso mare”. Ah, dimenticavamo: la manifestazione in questione si chiama, non a caso, “Rovigo RicicCinema”.