“Peter Pan” è una storia complessa, a tratti inquietante, densa di significati non sempre facili da decifrare. Il cinema non era ancora riuscito a restituire un ritratto convincente del bambino che vola e non diventa mai grande, e l’obiettivo non è raggiunto nemmeno con Pan, il nuovo film della Warner che vuole raccontare le origini del mito, ma finisce per diventare puro entertainment senza emozioni.
La storia comincia nella Londra della Seconda guerra mondiale, devastata dai bombardamenti. Il dodicenne Peter (Levi Miller), un ragazzino dal carattere ribelle, vive in un orfanotrofio insieme a tanti altri bambini sperduti. Una notte, Peter viene rapito e si ritrova su un galeone che solca i cieli della città, diretto in un mondo fantastico popolato da guerrieri, fate e pirati. Gli abitanti, però, sono sottomessi al terribile Barbanera (Hugh Jackman), sarcastico e spietato, che li costringe a lavorare in miniera. Il suo obiettivo è trovare la rarissima gemma pixum, da cui si ricava la polvere fatata che gli permette di restare eternamente giovane. A causa sua, il mondo delle fate sta scomparendo e per questo è protetto dai nativi, tra cui la bella Giglio Tigrato (Rooney Mara), impegnati a difendere il segreto di Neverland.
Una fuga rocambolesca permette a Peter e al suo compagno Uncino (Garrett Hedlund), furbo ed egoista, ma in fondo capace di affetto e altruismo, di raggiungere il bosco in cui abitano i nativi, dove combatteranno per salvare il regno delle fate. Perché Peter è il prescelto, il ragazzo che sa volare e a cui la madre ha lasciato una missione, ma deve imparare a credere in se stesso per diventare “Pan”.
Le premesse erano buone: un protagonista come Peter Pan, un regista come Joe Wright, che in passato ha diretto film raffinati come Orgoglio e Pregiudizio, Espiazione e Anna Karenina, e un cast bene assortito, con nomi nuovi (Levi Miller) e vecchie conoscenze (Hugh Jackman). Infine, il 3D sembra prestarsi bene alla ricostruzione di Neverland. Un coccodrillo enorme emerge dall’acqua, navi volanti combattono sospese nell’aria, una luce dorata avvolge il magico mondo dell’isola.
E allora qual è il problema? La storia si perde nell’intrattenimento, tra canzoni rock (i Nirvana) e scene action, trascinando lo spettatore in un mondo dai colori sgargianti, senza però coinvolgerlo davvero nella vicenda. Passiamo dalle atmosfere cupe di Londra al mondo piratesco che ricorda la saga de I pirati dei Caraibi, dalle insidie della foresta a quelle dell’acqua.
E mentre Peter cerca sua madre e ha paura di volare, noi scaviamo sotto la superficie come i minatori, senza trovare granché. I personaggi sono deboli e la sceneggiatura di Fuchs non lascia spazio a metafore e sfumature. Il tema dell’eterna giovinezza resta lì, sullo sfondo, per lasciare spazio al messaggio “credi in te stesso”, ripetuto più volte senza grande convinzione.
Forse Peter Pan resiste agli adattamenti, o forse non si è ancora riusciti a trovare la chiave giusta per interpretare le vicende raccontate da J.M. Barrie. L’idea di integrare le avventure che tutti conosciamo con il racconto del passato, della backstory, era buona, ma è rimasta ingabbiata in una fiaba action che ha il sapore di un’occasione perduta.