Nella steppa russa ne hanno sempre viste di tutti i colori, se si escludono i giorni di bruma, che non sono mai stati pochi. Ma fin dall’antichità è stata oggetto di invasioni a più riprese che hanno lasciato tracce indelebili nella storia di queste popolazioni e tra tutte è quella degli Avari che più ha inciso negli usi e costumi. Gli Avari erano un popolo che, seppur dedito al nomadismo, per molti versi dispendioso da un punto di vista dell’approvvigionamento di beni, ben conosceva l’arte della parsimonia oculata, del risparmio sobrio, della frugale previdenza, che applicavano a qualsiasi loro attività: dice infatti un antico proverbio che “i calzari di un àvaro durano una vita, ma la sua fame resiste più della durata delle sue scarpe”. E che dire dei càzari, invasori provenienti dalla Turchia, severi tanto con se stessi quanto con i loro nemici, ridotti a ragione in forza della violenza dei loro sermoni, chiamati caziatoni? A buon diritto, da quelle parti possono affermare che sì, di colpi bassi ne hanno presi assai, tanto che laggiù ancora oggi vivono delinquenti tra i più pericolosi di tutto l’orbe terracqueo: i famigerati e misconosciuti steppisti. Nonostante ciò, una stangata così, in Russia, non se l’aspettavano proprio, seppure le prove a carico – sarebbe meglio dire “le provette” – sono davvero schiaccianti.



Ma partiamo dai fatti. Stando ai dati della World Anti-Doping Agency (Wada), Mosca ha barato sui test di centinaia di atleti, sabotando di fatto le manifestazioni internazionali di atletica leggera più importanti, a cominciare dalle Olimpiadi di Londra 2012. Il sistema di occultamento delle prove di doping sarebbe stato organizzato e gestito dal ministro dello Sport in persona, Vitalij Mutko. Un vero duro, che nemmeno sotto tortura avrebbe spifferato una sillaba: “Mutko come un pesce” hanno titolato con buona dose d’ironia i giornali russi, che riferiscono come sotto la sua diretta supervisione, a Mosca, durante gli esami antidoping, non volasse mai una mosca. 



A trovarsi nell’occhio del ciclone è il centro antidoping al numero 10 di via Elisavetinskij, nella zona orientale di Mosca, eretto nel 1976 in soli quattro giorni (si vocifera che anche le maestranze siano state adeguatamente aiutate da… aiutini vari!). Il capo dell’Agenzia Antidoping di Mosca, Grigorij Rodchenkov, è accusato di aver distrutto 1.417 provette compromettenti su richiesta diretta del ministero dello Sport e con la collaborazione dei servizi segreti, il famigerato Fsb. C’è però chi sostiene che Rodchenkov non si sia sbarazzato tanto delle provette, quanto del loro contenuto, che sarebbe finito nel posto più segreto di tutta la Russia: il suo stomaco. Un’operazione portata a termine con l’aiuto di un’avvenente assistente del Fsb, di cui si conosce solo il nome (e cognome) in codice: Urina Naskondeva. Lo stesso Fsb è accusato di aver impiantato un laboratorio di Stato “parallelo”, utilizzato per “controlli preliminari” e più attrezzato di quello ufficiale. 



In realtà, il centro di Mosca è sempre stato una mera copertura, il paravento di una struttura ancora più occulta e inquietante, situata nella lontana e fredda Siberia. Un laboratorio fantasma (sebbene dovrebbero spiegarci il perché della collocazione nella taiga russa, quando tutti ben sanno che, per un fantasma, la morte sua è in un castello scozzese). Tra le ultime vicende che hanno riguardato questo misterioso centro, addirittura un caso di doping nella specialità dello slittino. Beninteso, a essere sotto accusa non è l’atleta, ma l’attrezzo stesso, uno slittino risultato positivo all’esame: invece della sciolina, i medici russi avevano preparato una sostanza cerosa a base di resine, idrocarburi, eritropoietina e vodka per rendere i pattini scorrevoli come non mai. E a proposito dell’eritropoietina, sgombriamo immediatamente il campo da un equivoco: l’eritropoietina (o Epo) non ha nulla a che vedere con l’Eritrea, né tanto meno con Cortina d’Ampezzo.

Tornando in Siberia (ma non volendoci mandare nessuno, per l’amor di Dio!), si è scoperto dell’addestramento di atleti, dalle prestazioni così oltre la media, che il solo mostrarli in qualche meeting o kermesse sportiva internazionale avrebbe significato ammissione di colpevolezza ancor prima di qualsiasi controllo.

Prendiamo il caso di Sergej Silurov. Nuotatore eccezionale, fendeva l’acqua come un proiettile. Già dotato di suo (a sole due settimane di vita, il piccolo Yuri – diminutivo di Sergej, lo sapevate? – 8 chili di bambino, già percorreva in meno di 2″8 l’intera lunghezza della vasca da bagno della dacia dove viveva con i propri genitori), dopo aver passato la pubertà allenandosi non in vasca ma al fiume (il suo stile preferito era salmone, perché nuotava controcorrente), venne adocchiato dagli osservatori della Federazione di nuoto russa e portato nel famigerato centro siberiano. Tempo un mese, il cambio di metodo di allenamento (definiamolo così) cominciò a dare i suoi frutti: l’impatto di un beverone a base di nandrolone e vodka brulé sul suo fisico possente lo portò sempre più spesso agareggiare e vincere a dorso contro i pur veloci battelli del mar Glaciale Artico.

Potremmo poi citare, sempre nel novero degli atleti mai apparsi sulla scena internazionale perché smodatamente forti, il marciatore (nonché grande amatore) Bartolomeus Kolleonid Trepallenko, aduso all’uso della testormodka(testosterone+ormone della crescita+vodka). Fonti ben accreditate ricordano una vittoria con sette minuti di vantaggio sul secondo arrivato in una maratona a Novosibirsk, ottenuta dopo quattro rapporti sessuali (avuti con quattro atlete diverse, anche loro concorrenti della stessa gara) durante il percorso.

Anche in campo femminile si registrano casi davvero eclatanti. Evitiamo di spendere eccessivi commenti su Svetlana Dritzalamirova, campionessa nazionale di tiro al piattello: due sole diottrie per occhio, eppure cecchina infallibile, grazie a trasfusioni continue e intensive di coldka (un micidiale mix di uno speciale collirio misto a vodka). A suo tempo fece parlare di sé la velocista Galina Apemayalova, specialista dei 400 metri; dosi massicce di vovka(particolare mix a base di vov, steroidi anabolizzanti e vodka) fecero di lei una vera campionessa coi baffi: due bei mustacchi scurissimi, grazie ai quali riuscì a partecipare a una finale dei 400 metri maschili ai Giochi Transiberiani di Krasnojarsk, piazzandosi al terzo posto. Veloce come un’Ape in pista, ma già negli spogliatoi insaziabile stakanovista dell’amore, ebbe a dire dopo quella straordinaria performance: “Ho conquistato il bronzo, che non mi ha lasciato un granché soddisfatta, così mi sono fatta anche l’oro e l’argento” (alludendo, probabilmente e con linguaggio aulico, a “ciò che in camera si puote”).

E Vladimir Putin? Come ha reagito alla messa in stato d’accusa di tutto il movimento sportivo russo da parte della Wada? Partito con molte cautele (“Wada come Wada, aspettiamo la conclusione delle indagini”), una volta appurate le colpe della Federazione russa con annessa squalifica da parte del Cio, ha convocato d’urgenza il ministro dello Sport, Mutko, e – vista la familiarità con la quale ha sempre intrattenuto proficui rapporti con il nostro Silvio Berlusconi, che ha trovato tempo e modo per fargli masticare un po’ di dialetto brianzolo – lo ha redarguito severamente con un sonoro (e a noi lombardi così familiare): “Ma Wada via al ku, tì e le tue provette!”.