Cos’hanno in comune la difficoltà nel produrre un film, quella nel dirigere un’azienda, e la felicità? Un titolo, La felicità è un sistema complesso, che dà il nome all’ultimo prodotto di Gianni Zanasi. Con sceneggiatura firmata da Zanasi, Pellegrini e Favella, e con primo protagonista il bravo Valerio Mastrandrea, si tratta di un film lento, di non semplice recitazione e, altresì, di non facile gusto. Racconta infatti di Enrico Giusti che, per sbarcare il lunario, si è inventato il lavoro più strano del mondo. Suo è il compito di avvicinare i dirigenti delle più grandi imprese nazionali e non solo, per poi convincerli al cedere l’azienda a qualcun altro, onde evitare l’inevitabile insuccesso e fallimento di una carriera imprenditoriale tutta in salita. 



Quasi definibile un diesel, questo prodotto cinematografico “d’altri tempi” pare quasi voglia aspirare al film d’autore, senza tuttavia riuscirci e perciò, purtroppo, rimanendo opacizzato dalla sua smania di grandezza stessa. Perché nonostante siano molte le scene che sicuramente possiamo dire siano risultate di difficile fattura, recitativa soprattutto, il risultato finale non soddisfa, ma al contrario stanca. Più e più volte il racconto si perde, o si dilunga un po’ troppo senza alcun apparente motivo, riuscendo allora soltanto a scatenare sbadigli e un quasi assicurato calo dell’attenzione già solo dopo i primi dieci minuti.



La sinossi pressoché interessante viene perciò oscurata da un prodotto complessivamente non soddisfacente e, oserei dire, senza personalità. Le medesime sensazioni, aggiungo, son peraltro rintracciabili nella visione di un film a questo molto somigliante ma al tempo stesso di decisamente più interessante ed elevata qualità e fattura. Con George Clooney e per la regia di Jason Reitman, si intitola Tra le nuvole l’hollywoodiana produzione cinematografica alla quale mi viene il dubbio l’intero cast de La felicità è un sistema complesso possa essersi ispirata. Medesimo infatti lo stile narrativo, nonostante il paragone sincero tra i due possa sicuramente dimostrare come la pellicola americana in questione spicchi certamente con numerosi e maggiori punti a suo favore.



A dura prova anche le emozioni, che cercano con fatica di trapelare dal grande schermo coinvolgendo gli spettatori tutti, ma che tuttavia sembrano non riuscirci. Il nostro protagonista Eugenio, arrivato all’apice di una carriera priva di incertezze e difficoltà, dovrà infatti scontrarsi con una sfida totalmente inaspettata. Uno dei grandi imprenditori che sta cercando a suo modo di aiutare risulterà vittima di un incidente sanguinosissimo. Così i suoi figli, due adolescenti molto particolari, si ritroveranno improvvisamente orfani, catapultati nella vita di tutti i giorni e, soprattutto, eredi di un’azienda importante e molto impegnativa. Proprio qui Eugenio sarà allora messo a dura prova, trovando nella difficoltà il suo punto di forza.

Ma ancora una volta il film non ce la fa, non supera quel limite fra il film ben fatto e il film decisamente ben fatto. Una linea sottile che tuttavia ritengo fondamentale, quella di saper classificare in modo differente una produzione cinematografica tecnicamente e nel complesso sufficiente, da un vero cinema capace di trasmetterti tanto. 

La felicità è un sistema complesso, infatti, è un film decisamente bipolare, e complesso. Bipolare perché pare voglia dirti “sono io il film più bello del mondo”, ma al tempo stesso ti fa ricredere, quasi fosse impaurito dallo spiccare troppo. Non sono infatti in grado di sconsigliare una visione di questo tipo, perché dopotutto non lo si può certo ritenere un prodotto insufficiente. A me, personalmente, tuttavia, non è piaciuto perché non ho davvero capito quale fosse la sua anima prima, risultandomi anche per questo talvolta piuttosto anonimo. Ma magari sono poi io che di cinema ancora non ci capisco tanto… 

Allora buona visione, e fatemi sapere a tutti gli effetti cosa a vostra volta, dopo averlo visto, ne pensiate!