Termina a Parigi, sulle rive della Senna, un viaggio che dai vicoli più luminosi di Manhattan ci ha portati a Londra, salvo poi ritornare puntualmente al grande amore di Woody Allen: la Grande Mela. Midnight in Paris chiude la nostra rassegna dedicata al comico newyorchese che ha da poco compiuto 80 anni, e lo fa in punta di piedi, con tutta l’eleganza onirica che caratterizza sia la città che le ultime derive del cinema di Allen. Un viaggio nella mente di un sognatore, un uomo spaventato dal futuro alle prese con la scintillante Parigi dei suoi sogni.
Dopo aver esplorato Londra con un trittico di film a essa dedicati, e dopo una breve incursione in territorio spagnolo con Vicky Cristina Barcelona (2008), non può di certo mancare nel curriculum di Woody Allen una pellicola ambientata a Parigi. Ben più riuscito dell’appena successivo To Rome With Love, dedicato invece alla nostra capitale, Midnight in Paris (2011) si apre con un montaggio dei luoghi più caratteristici della città, in modo da gettare lo spettatore nei panni di Gil. Egli, interpretato da Owen Wilson, è uno scrittore idealista e sognatore, in visita in Europa con la moglie Inez (Rachel McAdams), la quale preferisce una cena in un ristorante di lusso a una romantica passeggiata sul Lungosenna.
Durante una solitaria escursione notturna, quindi, Gil si imbatte in una carrozza che, con suo sommo stupore, lo trasporta nella Parigi degli anni ’20, insieme ai suoi idoli Hemingway, i Fitzgerald, Cole Porter e molti altri. Durante queste uscite notturne, oltre a far giudicare il proprio manoscritto nientepopodimeno che a Gertrude Stein, Gil finisce per invaghirsi della bella Adriana (Marion Cotillard), amante di Picasso.
Si è sentito spesso criticare Midnight in Paris per la leggerezza ai limiti dello stereotipo con cui viene tratteggiata Parigi. Ma questo modo di intendere la Città non solo è tipico della poetica di Allen – basti pensare alla Manhattan “perfetta” dell’omonimo film, o le varie Barcellona o Roma degli ultimi film -, ma in questo caso riflette anche l’idealismo esasperato che porta il protagonista a vivere le proprie avventure notturne nel limbo tra sogno e magia. La Parigi di Gil è fatta di boulevard, bistrot e luci soffuse, e questo condiziona il suo modo di vivere la città (mentre la moglie, ben più pragmatica e disillusa, si concentra sul traffico infernale).
Una caratteristica dell’Allen degli ultimi anni – qui evidentissima e che, giunti ormai alla fine del nostro percorso, è bene sottolineare – è il progressivo restringimento del punto di vista, e la tendenza sempre più marcata a fare film “monotematici”. Per capire meglio cosa intendo si pensi a Io e Annie: difficile trovare una morale unica in quel film, e anche quando la si trova – il rapporto tra uomo e donna, si potrebbe dire – essa è estremamente generica, elastica; in Midnight in Paris, invece (come anche in Match Point), sembra che Allen voglia veicolare un unico messaggio, e attorno a esso ruota tutto il film.
Qui la tesi di fondo è brillante nella sua semplicità: idealizzare il passato è sbagliato, perché non è mai esistita e mai esisterà una “età dell’oro” in cui tutti gli uomini siano felici e soddisfatti. Dalla sceneggiatura alla ricostruzione storica, dalle atmosfere ai piccoli dettagli: tutto, insomma, punta a questa unica morale conclusiva, similmente a quanto aveva fatto Match Point sviluppando il tema della Fortuna.
La sensazione che si ha, approcciandosi agli ultimi film di Allen, è di una certa “claustrofobia” tematica, specialmente se si è reduci da pellicole più “enciclopediche” e onnicomprensive come il già citato Io e Annie oHannah e le sue sorelle. Ed ecco che, al contrario, ci si trova a respirare aria fresca nei casi in cui lo stile del regista si avvicina un po’ di più a quello delle origini in perle rare come Basta che funzioni o Blue Jasmine (2013). Si tratta di due modi di fare cinema diversi ma complementari: dopo una vita passata a disquisire sulla vita e sui massimi sistemi, è comprensibile che, giunto alla venerabile soglia degli 80 anni, Allen voglia concentrarsi su questioni più circoscritte e scomponibili, mettendo in campo tutta la saggezza che i decenni gli hanno portato.
Tra i film “a tesi”, in definitiva, Midnight in Paris è sicuramente il più originale e ben costruito. L’atmosfera magica della città fotografata da Allen si sposa perfettamente con la leggerezza della commedia, e rende le avventure notturne di Gil una vera “liberazione” anche per lo spettatore, da una parte scoraggiato dall’estremo pragmatismo borghese e, dall’altra, affascinato da un passato mitico tanto irreale quanto seducente.