Fino a pochi mesi fa nessuno ne parlava e, a meno che non ce se ne interessasse personalmente, di Casale Monferrato si ricordava probabilmente soltanto il vino buono. Poi anche i telegiornali hanno iniziato a informare e il Paese a inorridire. La vicenda Eternit, capace di collezionare – a oggi – ben più di 3.000 morti solo a Casale, paese nel quale l’Eternit è lì permeata da oramai 30 anni, alcuni ancora non la conoscono bene. Ma, a tutti gli effetti, ciò che si dovrebbe sapere è molto semplice. Quello che l’Eternit fa è avvelenare, avvelenarci tutti, per via aerea. 



Una storia triste, ma reale, quella raccontata anche da Francesco Ghiaccio e Marco D’Amore (dai più conosciuto per il suo ruolo nei panni di Ciro nella serie per la tv “Gomorra”), che hanno scelto Un posto sicuro come titolo del loro film, per mettere su grande schermo una vicenda che ci riguarda tutti, e i casalesi soprattutto. Un racconto d’amore e di morte, di amianto e di corruzione quello portato in scena nella città realmente più bonificata di tutta Europa. Un percorso di preparazione molto lungo e complesso, durato ben oltre tre mesi, che ha visto entrambi i registi trasferirsi a Casale Monferrato per capire meglio cosa significhi aver perso amici, zii, sorelle, fratelli, padri e madri, e aver distrutto intere famiglie a causa di un male incurabile che, ironia della sorte, crea un dolore lacerante capace di raddoppiare nel momento in cui la sentenza della Corte di Cassazione vede annullare tutte le condanne ai responsabili, ai vigliacchi che sapevano e non hanno avvertito, non hanno procurato allarme quando ce n’era bisogno, ma imperterriti hanno proseguito a seminare morte come se loro per primi non fossero altresì in pericolo.



“È stato difficile confrontarsi con chi in quella città ci vive da anni. Ogni volta che si parla di Eternit il loro volto si contrae, perché il dolore che provano da tutto questo tempo è tanto immenso quanto inimmaginabile”, racconta Francesco Ghiacchio alla stampa. “L’omicidio, però, non si prescrive e anche per questo la battaglia di quella gente continua, con tanta speranza verso quello che verrà”.

Un posto sicuro, allora, cerca di raccontare nel modo più veritiero possibile cosa significhi avere una strada contaminata quale quella del futuro. Sì, perché la popolazione di Casale si sveglia ogni giorno col terrore di scoprirsi ammalata, e nonostante tutto non può sicuramente dirsi questa una vita facile. 



Anche l’amore, però, in questo film. Una pellicola che quindi punta l’attenzione anche sulle cose belle con Luca, trentenne o poco più, che riscoprirà cosa significhi esser figlio solo quando suo padre verrà affetto da un cancro incurabile. Solo così, allora, lo stesso Luca capirà cosa voglia dire vivere a stretto contatto – seppur involontariamente – con l’amianto. Perché lui, nonostante a Casale Monferrato ci sia cresciuto, dell’Eternit non aveva mai capito la tossicità. E questa è la realtà: un paese, un popolo intero (quello italiano) che di tante contaminazioni non ne conosce l’esistenza, perché i media non ne parlano, perché troppo spesso la corruzione prende il sopravvento.

E allora qui arriva il bello, il bello del voler raccontare a tutti i costi quello che davvero succede in Italia, nei nostri piccoli paesini prima, e solo in senso più ampio poi. Un film impegnato, ma che – ci tengono a sottolinearlo i due giovani registi D’amore e Ghiaccio – soprattutto vuole mettere in luce una cosa diversa, quale la voglia di vivere. L’importanza della rinascita e di una continua volontà pari a quella del lottare, a denti stretti, senza mai arrendersi. Anche per questo, prima pagina della sceneggiatura, la frase “L’unica battaglia che non si vince è quella che si abbandona”. 

Un film veramente commovente, e soprattutto capace di farci riflettere – tutti quanti – sul bello dei nostri giorni, sulla voglia di non arrendersi mai. Un prodotto cinematografico dall’importanza altissima proprio perché coraggioso nel voler raccontare cosa significhi Eternit, cosa significhi amianto, cosa significhi morire avvelenati lentamente, giorno dopo giorno, senza che nessuno sappia. Gli operai di Casale Monferrato, infatti, hanno intuito la colpa fosse dell’amianto più di 30 anni fa, perché stavano morendo, tutti. Ma nessuno glielo ha inizialmente detto, né tanto meno confermato. Che questo sia sempre, ogni giorno, stimolo di riflessione anche per noi. Informiamoci, stiamo attenti a tutto ciò che ci circonda e, incredibile da scrivere ma lo penso sul serio, non fidiamoci mai e poi mai a priori di ciò che crediamo possa essere innocuo. La vita è una sola, e personalmente vorrei vivermela al più lungo che si può.

Ultimo ma non meno importante: nel mondo a oggi ci sono ancora più di 30 paesi che producono amianto, forse incoscienti di fronte al fatto che questo stermini milioni di persone innocenti, e forse totalmente inconsapevoli di tale gravità. Restiamo uniti, restiamo informati più che mai.