Star Wars 7 – Il risveglio della forza. Prendere un film così pesantemente circondato da attese, ansie e psicosi, da invasive campagne di marketing e amore per una saga che dal 1977 culla sogni dei cinefili più sognanti, e parlarne oggettivamente è un’operazione difficile. Di fronte a Star Wars – Episodio VII: Il risveglio della forza il critico deve farsi spazio tra tanti modi diversi di vivere e intendere il film: ma di fronte all’operazione di J. J. Abrams, che ha preso da George Lucas l’incarico di una nuova trilogia, cadono molto barriere e restano alcune conferme e certezze. 



Il film si apre 30 anni dopo le vicende della trilogia originaria: la Resistenza sta cercando disperatamente Luke Skywalker, l’ultimo jedi rimasto e l’unico capace di aiutare la Repubblica a sconfiggere il Primo Ordine. Il luogo in cui Luke potrebbe essere è nascosto in una mappa custodita da un droide al quale danno la caccia in molti: tra nuovi personaggi, la mercante Daisy Ridley e il disertore Finn, e vecchie conoscenze, Han Solo e Chewbacca, comincerà un lungo viaggio per risvegliare la Forza sepolta dal Lato oscuro. 



Scritto da Abrams con Michael Arndt e Lawrence Kasdan (storico sceneggiatore della trilogia classica), Star Wars – Episodio VII: Il risveglio della forza è un appassionante film d’avventure spaziali, in cui la space opera torna a mescolarsi con il fantasy cavalleresco, recuperando afflati e spirito infantile che la nuova trilogia (incredibilmente sottovalutata da molti fan) aveva accantonato per tingersi di fantascienza politica. 

Questo nuovo inizio decide quindi di affidarsi inizialmente al sicuro approdo del primo film della serie, omaggiandone immagini, personaggi, dettagli, ma anche utilizzandolo come base ispirativa per i percorsi narrativi e drammaturgici. Questa base però evolve e il rischio di un film per soli fan sparisce, anzi la pellicola diventa con i minuti un prodotto in cui Abrams ha preso possesso di una mitologia e l’ha rielaborata secondo la propria statura di narratore, statura che qui vede confermata nell’intelligenza e nella personalità: basti pensare a come racconta i viaggi tra luce e oscurità di vari personaggi, come queste traiettorie si incontrino e scontrino, o come prende scelte narrative radicali e impreviste, come su moduli già narrati sa far crescere la tensione e la fascinazione.



Ma, soprattutto, il talento di Abrams lo si coglie nella consapevolezza con cui riflette sul rapporto tra nuovi spettatori e vecchi adepti, tessendo un racconto corale in cui il calore e il carisma di Han Solo, Leia o Chewbacca non oscurano l’impatto di nuovi personaggi il cui valore è evidente fin dalle prime scene (i duetti tra Daisy e Finn, ispirati alle screwball comedies degli anni ’30) e cresce fino a un gran finale. Il resto è un intreccio di rimandi (memorabile e significativo il primo volo di “quella vecchia ferraglia” del Millennium Falcon guidato dalla nuova truppa) e invenzioni, di scene spettacolari e una regia che usa il movimento, gli spazi filmici – anche grazie a un 3D usato ottimamente – e i movimenti di macchina da erede di Spielberg, di momenti di grande potenza visiva ed epica, soprattutto nelle scene a due (i confronti tra Leia e Han o tra Daisy e Kylo). Insomma, di grande cinema di intrattenimento, capace di emozionare, divertire, trascinare e persino suggerire suggestioni meno banali del pop corn movie. 

Certo, Abrams non ha la grandezza demiurgica di Lucas, ma è un’abile defibrillatore, che sa con passione, tenacia e acume – e un pizzico di americana furbizia – far tornare a battere i cuori di appassionati di un cinema che l’industria vorrebbe far passare di moda, in cui la frenesia e l’eccesso devono lasciare il posto al cuore umano dell’avventura, al palpito del bambino che sospira in una sala cinematografica. E il nuovo Star Wars non fa tacere quel sospiro, per fortuna.