Un gioco tra più tecniche cinematografiche che si intrecciano a formare un collage nella narrazione di uno dei temi più nascosti della guerra. Nelle sale del museo del Louvre si incontrano più personaggi, di ogni tempo, che si aggirano indisturbati per le stanze deserte. La storia si articola proprio nel museo, uno dei più famosi al mondo, intorno al rapporto tra il direttore Jacques Jaujard e il conte Franziskus Wolff-Metternich, nazista incaricato dal Fuhrer di occuparsi delle preziose opere custodite lì e del trasferimento di esse in Germania. 



Il regista (Aleksandr Sokurov) si affaccia su un mondo che gli è ormai familiare, dopo ben due film dedicati alla scoperta dell’arte e delle sue implicazioni nell’identità dei popoli. Appunto in Francofonia (presentato in concorso all’ultimo Festival di Venezia) l’attenzione si focalizza su una “francesità” che ha saputo costruire un mausoleo che non solo contiene, ma esalta le sue opere. Non manca una nota critica, resa implicitamente attraverso la bizzarra figura di Napoleone che si vanta di avere poco elegantemente trafugato i tesori tra cui si aggira durante le sue campagne. 



Sokurov non manca di evidenziare con tono straziante la differenza di condizioni tra la “sua” Russia e l’Hermitage duramente provati dalla guerra, con la spaventosa calma che regna sulla Parigi del 1943, inerme dopo il superamento della “linea Maginot”. L’occupazione nazista però si rivela essere un meccanismo più subdolo e psicologicamente devastante per privare la “vicina di casa” Francia della sua cultura, attraverso una catalogazione accurata dei tesori fruibili. Ma chi è amante della cultura e ne comprende il suo valore si erge con forza contro tale piano.



Il cambio di scena è frequente, pur mantenendo una lentezza di scene, passa da inquadrature con voce fuori campo dello stesso regista, spesso in dialogo con i personaggi come dietro a uno schermo, a documenti storici dell’epoca, fino a narrare fatti dei giorni nostri. 

Francofonia si rivela essere un’analisi approfondita del modo di vivere e interpretare l’arte stessa, argomento che il regista padroneggia bene, attualizzandolo e tornando alla fine del film sulla scena che l’aveva aperto: una nave in mezzo all’oceano con un carico di opere d’arte, a sottolineare come anche oggi non si possa fare a meno della cultura e che privarsene è fuori discussione, anche a rischio di un naufragio. 

Un messaggio forte e chiaro agli sguardi annoiati di chi guarda senza vedere l’enorme quantità di arte che impregna l’Europa. Arte che in ogni momento può essere testimone dell’identità di un popolo, anche sotto le bombe.