La Conferenza sul clima Cop21 sta volgendo al termine e ancora oggi una domanda grava sulla conferenza: che clima c’è a Parigi? Si respira un’aria pesante oppure gli incontri tra le 190 delegazioni presenti si svolgono in un’atmosfera distesa? Difficile rispondere, dato che probabilmente l’unica intesa raggiunta concerne le future conferenze sul clima, le cui città ospitanti dovranno avere precise caratteristiche… climatiche, che mettano i partecipanti nelle condizioni di acclimatarsi tra loro il più velocemente possibile: niente di meglio, perciò, che scegliere incantevoli territori montani d’inverno e altrettanto splendide località marine d’estate, così da assaporare climi ideali alternati (una volta al caldo, quella dopo al freddo), che le rappresentanze dei vari governi non potranno non apprezzare. 



Nel frattempo nella comunità scientifica ci si accapiglia senza esclusione di colpi sui possibili effetti prodotti da El Niño, un fenomeno che, partendo dall’oceano Pacifico, trova riscontri ben precisi persino nel “nostro” Mediterraneo: sulla costa amalfitana è ben noto El Niño D’Angelo, così come a Trieste tutti conoscono gli effetti devastanti indotti da El Niño Benvenuti; e se a Marsala El Niño Bixio è di casa, alle Baleari non di rado fa capolino El Niño Torres.



Le diplomazie, invece, sono impegnate in un febbrile lavoro, alla disperata ricerca della quadratura del cerchio. Con un obiettivo ambizioso: trovare un accordo globale per ridurre di almeno 2 gradi le emissioni di anidride carbonica entro il 2030. L’aumento della temperatura, infatti, rende il pianeta così febbricitante che ci si chiede: come e in quale punto della Terra si potrebbero introdurre delle gigantesche supposte di paracetamolo (principale componente della Tachipirina)? I vulcani potrebbero servire allo scopo o no?

In attesa di una risposta definitiva, i grandi Paesi non hanno fatto mancare il loro fattivo contributo alla causa. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno proposto di combattere il surriscaldamento globale con una robusta dose di finanza verde. In pratica hanno chiesto: perché non usare in tutto il mondo solo dollari, vale a dire biglietti verdi, stampati senza utilizzare materiali Usa-e-getta? La Francia ha preso la decisione di spegnere le cannes fumarie a Cannes e di impedire l’immatricolazione delle Volkswagen, auto troppo inquinanti (eccezion fatta per le Polo, che una mano a combattere il surriscaldamento potrebbero anche fornirla, non foss’altro per il nome). La Germania ha prontamente ribattuto con una prevedibile contromossa: alt a Renault, Citroen e Peugeot. Dalla Merkel, francamente, ci aspettavamo di meglio. La Svezia ha deciso di non importare più le Seat e la Spagna di non comprare più le Volvo. Scaramucce continentali. Anche la Grecia ha deciso di non importare più auto da nessuno, ma la scelta non sembrerebbe dettata da ragioni ecologiche, ma da mancanza… di sghei! La Repubblica Ceca, da par suo, ha suggerito di risolvere il problema delle emissioni inquinanti con un metodo più semplice: chiudendo un occhio. In Svizzera non hanno mai sottovalutato le mucche che, con le loro emissioni, sono causa del buco dell’ozono. E se è una questione di buchi (l’elvetico è popolo poco avvezzo agli inutili bla-blà) o si mette un gigantesco tappo al buco dell’ozono oppure un tappo (di dimensioni ovviamente più contenute) lo si infila là dove non batte il sole ai simpatici bovini (simpatici? chiedetelo a uno svizzero…).



L’Italia avrebbe dovuto inviare alla Cop21 una rappresentanza di tutto rispetto, pronta a dare battaglia sul fronte del “climate change” con una strategia chiara: la riforestazione del pianeta. Non a caso, alla guida della delegazione italiana ci sarebbe piaciuto vedere il ministro Maria Elena Boschi, che avrebbe potuto ben spiegare agli astanti come nel nostro Paese gli elevati livelli di Pm non siano presenti tanto nell’aria, quanto nel sistema giudiziario. Al suo fianco, poi, personalità d’eccellenza come il Mago Forrest (che avrebbe potuto deliziare i delegati di tutto il mondo con i suoi giochi di prestigio, facendo scomparire come d’incanto microgrammi di CO2 o particelle di polveri sottili), l’umorista Michele Serra (che ingurgitando colossali dosi di fagioli all’uccelletto sarebbe riuscito a impressionare i delegati del Terzo mondo, convincendoli di quanto siano letali i… gas serra) e l’ex sciatore Giorgio Piantanida (uomo con i piedi ben piantati per terra e di poche ma efficacissime parole: “Piantiamo piante, così la piantiamo con questi allarmi sul clima! E chi vuol piantare grane, la pianti! Noi dobbiamo essere i piantoni del pianeta!”).

E a proposito di alberi, Giappone e Corea del Sud hanno proposto, per combattere l’inquinamento atmosferico, che i propri turisti viaggino, in giro per il mondo, ciascuno con la propria piantina. Non quella del Touring, ma un simpatico bonsai, con l’obiettivo di garantire una diffusa e capillare riforestazione mobile.

Non va sottovalutata la disponibilità della Cina, detentrice del primato mondiale di inquinamento. Che lo smog sia un problema molto sentito in quel Paese non è certo un mistero: respirare l’aria di Pechino è come fumare una sigaretta e chi corre è come se ne fumasse molte di più. A Pechino già oggi non si vendono più sigarette, bensì pacchetti pieni d’aria, sulle cui confezioni è stata bandita la scritta “Nuoce gravemente alla salute”, a favore di una ben più realistica “Si deve pur morire di qualcosa!”. Ogni volta che i pechinesi (non i quadrupedi canini, ma i bipedi cittadini) trattengono il respiro, guadagnano subito 20 minuti di aspettativa di vita. Informazione scientifica che ha indotto il governo di Xi Jinping a organizzare le “Giornate ambientali senza respiro”: un miliardo e trecento milioni di cinesi tratterranno il respiro a intervalli lunghi e regolari, arrivando anche ad apnee prolungate nei giorni dispari, così da ridurre sensibilmente i livelli di smog. 

C’è dunque sintonia assoluta tra i Paesi del Cop21? Nient’affatto! L’India si è rivelata nazione riluttante ad accettare le indicazioni anti-surriscaldamento atmosferico. A tal proposito, due giorni fa l’Osservatore Romano, raccogliendo il grido di dolore degli atolli che a Parigi piangono per l’innalzamento degli oceani, così ha titolato: “L’allarme delle isole-Stato”. Ebbene, il premier indiano Narendra Modi ha voluto gettare acqua sul fuoco: “È meglio che voi abitanti degli atolli non insistiate a versare lacrime, così da evitare un ancor più repentino innalzamento del livello degli oceani”. Offesi e sorpresi, i delegati delle isole del Pacifico, pur conoscendo la durezza dei suoi toni da duro, non hanno usato mezze misure nel ribattergli: “Ma che Modi!”.