“Le Figaro” ha definito Mon Roi come “un film forte come un caffè ristretto”, critica che non ho potuto evitare di notare purtroppo, poiché scritta in chiare lettere dorate sul pressbook dato a noi giornalisti nel corso dell’anteprima stampa. Ammetto che lo “slogan” mi ha stupito e, di primo acchito, aiutata al pregiudizio. Credevo infatti, anche a “causa” dell’etichetta “film drammatico” di fianco al suo titolo in copertina, che questo fosse un prodotto amaro – probabilmente associazione legata al fatto che io l’espresso lo bevo sempre così com’è, senza zucchero -, come uno di quei racconti in cui devi esser preparato, di mente e di cuore, prima di sederti davanti al grande schermo. Ma l’esperienza mi ha insegnato che il “credere” ancor prima dei titoli di testa non è mai una buona partenza.



Così ho tratto un lungo sospiro, cercando di cacciare ogni pensiero che già stavo formulando tra me e me sulle ipotetiche prestazioni attoriali dei primi protagonisti, e mi sono pregata di non leggere altro, come chi fosse il regista o lo sceneggiatore. E, cosa ancora più importante, ho evitato come la peste di imbattermi nelle righe introduttive allo spettacolo che di lì a poco sarebbe incominciato: niente sinossi. Mi son seduta, al cinema, e ho semplicemente atteso il via, così come quando al liceo nelle ore di “CineLab” il televisore d’improvviso s’accendeva e tu non sapevi – più o meno – cosa avresti mai potuto aspettarti.



Portarsi impreparati di fronte a un’opera di tale rilevanza credo sia l’errore più bello che ognuno di noi possa e debba mai fare. Nonostante i 128 minuti di proiezione – più di due ore di film per intenderci – Mon Roi non stanca ma affascina, seduce, ammaglia e conquista. Nonostante il racconto sia tosto e sì, drammatico, per davvero, nulla sconvolge e nulla annoia. Mon Roi racconta la vita, e la vita di coppia, nel modo più vero, sensibile, reale ed emozionante che possiate mai immaginare e, ve lo assicuro, mi è difficile scriverne poiché è questo uno di quei film che irrimediabilmente ti entrano dentro e non se ne vanno più.



Lei è Emmanuelle Bercot e ha vinto il premio Miglior attrice al Festival del cinema di Cannes. Qui veste i panni di Tony, avvocatessa biondina e tutta pepe che una notte, in discoteca, incontra Georgio, un bel Vincent Cassel nelle vesti di un affascinante imprenditore giovane, molto bello e corteggiato, che di una relazione stabile pare non ne abbia affatto voglia. La storia di un amore, quello tra Tony e Georgio, durato più di 10 anni, che nel tempo li ha visti crescere e mutare e che, scena dopo scena, accompagna al mutamento anche l’intera platea. Non voglio raccontarvi altro perché già la brevissima presentazione dell’incredibile sceneggiatura firmata da Etienne Comar e diretta da Maiwenn, tende a banalizzare un prodotto cinematografico che banale assolutamente non è.

La spettacolare capacità del cast intero sembra quasi volerti obbligare, con dolcezza, al coinvolgimento completo. Una recitazione vivida e satura di contenuti ed emozioni, fa di Mon Roi uno dei capolavori cinematografici a mio parere più preziosi dell’anno. Una vita, coniugale ma non solo, quella di Tony e Georgio, mostrata a parole, ma soprattutto a fatti; e suoni, tanti. E poi gli sguardi, sprazzi magici in grado di connettere due vite, due amanti e a loro tutto il pubblico spettatore, senza lo sprecare di un monosillabo soltanto. 

In Mon Roi nulla è fuori posto ma tutto sta bene lì, dove si trova. Un film di cui ancora oggi mi è difficile parlare, e parlare bene, perché, lo ammetto, quando mi scontro con qualcosa di incredibilmente bello mi succede. Accade che talvolta l’arte (del Cinema) ti lasci senza fiato, lacrime o parole proprio come stavolta è accaduto a me e mi auguro la cosa possa capitare anche a voi. Non perdetevi Mon Roi per nulla al mondo e grazie, di cuore, a tutto il cast per averci lasciato in eredità e per sempre un’opera filmica di questo (altissimo) livello.