Alcuni luoghi si prestano più di altri a catalizzare la vena di chi narra con parole e immagini le vicende della vita. Vi si concentra una umanità più scoperta e cade quasi sempre la maschera che altrove viene indossata a celare lio più vero della persona, la ricerca anche implicita del senso dellesistenza.

Forse anche a questo si deve ascrivere il successo di Braccialetti rossi, la fiction televisiva riproposta da Rai1 alla domenica in prima serata e che presto vedrà una nuova serie di puntate.

Tratta da un romanzo autobiografico di Albert Espinosa, uno scrittore catalano di cui il Sussidiario ha già parlato un anno fa in occasione della prima uscita della trasmissione, la fiction racconta lamicizia di sei ragazzi ricoverati per malattie gravi in ospedale. Il bello è che questo grumo di bene nel cuore del dolore e del male si propaga e contagia anche il mondo adulto di medici e parenti. Bonum diffusivum sui, dicevano gli antichi, e questo bene, complice un mezzo mediatico tante volte vilipeso come la televisione, si diffonde anche sugli spettatori. Certo, ci vuole un po di pazienza per le inevitabili forzature, per le complicazioni dei protagonisti adolescenti, per le situazioni ampiamente improbabili, ma nel complesso  questo bene rimane, ed è ciò che conta. Il legame tra questi sei ragazzi riesce a meravigliare tutti, tanto che qualcuno si lascia indietro la sua solitudine ed entra in modi diversi a far parte della loro intesa.

Se dalla finzione, per quanto basata su una storia vera, si passa alla realtà, non è difficile notare che anche nella vita avviene qualcosa di simile. Cè una filovia a Milano che passa vicino allIstituto dei Tumori. Nelle ore centrali del giorno non è molto affollata; lungo il tragitto insieme agli studenti  diretti a Città Studi salgono anche molti passeggeri che si conoscono, parlano tra loro e scendono tutti alla stessa fermata, diretti allospedale. Si sente qualche battuta sulle terapie, qualche informazione sulla loro durata. Nulla di speciale, ma basta a far percepire un legame che riscalda un po il clima anonimo del mezzo pubblico, che rompe il silenzio interrotto dagli squilli dei telefonini, lestraneità di brevi e impazienti spostamenti.

Probabilmente la malattia lunga e pericolosa  mette alla prova le persone, nel senso che aiuta a vedere nellaltro ammalato, anche fuori dal luogo di cura, un compagno di viaggio non solo occasionale, ma uno che sta sulla stessa barca, e bisogna remare nella stessa direzione per farcela.

Proprio all’Istituto un amico credente, appena ricoverato per un tumore che l’avrebbe poi strappato ai suoi cari, sul punto di andare in cappella, aveva offerto al compagno di stanza, vecchio dell’ambiente, di pregare anche per lui; e questi, malgrado la sua arrabbiatura con gli uomini e con Dio, gli aveva detto di sì.

Non è difficile sorprendere questi e altri stralci di vita quotidiana in una città che vive di fretta e sorvola sul bisogno che tutti abbiamo di incontri che, anche nella loro brevità, diano alla banalità della giornata un attimo di riflessione. A volte può succedere persino sulla filovia.