Alla fine degli anni 90, i fratelli Andy e Lana Wachowski ci hanno regalato Matrix, film di fantascienza che è subito diventato cult tra gli appassionati e non. Autori postmoderni per eccellenza, il loro stile è frenetico e onnivoro; reminiscenze biblico-filosofiche si incastrano, nella serie di Matrix, con omaggi al mondo del videogame e delle graphic novel. Il loro amore per le storie complesse li ha portati, nel 2012, ad adattare il romanzo Cloud Atlas, labirintica epopea in cui si intrecciano storie antiche e futuristiche, megalopoli distopiche e tribù nate allombra della superstizione. Lo stesso spirito anima Jupiter – Il destino delluniverso, film di fantascienza che, sotto la patina del 3D, rivela un cuore retrò, quasi favolistico.
Mila Kunis è Jupiter Jones, donna delle pulizie destinata a grandi cose, almeno stando al padre, morto prima di vederla nascere. Il suo destino sembra compiersi quando Caine Wise (Channing Tatum), un ibrido uomo-cane con le orecchie a punta e degli stivali volanti, la salva da un gruppo di alieni pronti a ucciderla. Jupiter si trova così al centro, suo malgrado, di una faida che coinvolge una delle famiglie più potenti delluniverso, gli Abrasax; tre fratelli che si contendono il controllo della Terra, e che riconoscono in Jupiter la reincarnazione della madre, morta in circostanze misteriose.
La trama, già abbastanza compiuta così, viene arricchita da una quantità esorbitante di personaggi secondari e comprimari, tra cui spicca il poliziotto spaziale interpretato da Sean Bean, che – si scoprirà – non è altro che un ibrido uomo-ape. A lui vanno aggiunti decine di personaggi dai nomi spesso astrusi e facilmente dimenticabili, diluiti come sono in unepopea fatta di aeronavi dallarchitettura goticheggiante, imperi costruiti tra i cicloni di Giove e un susseguirsi di tradimenti e alleanze degno di una soap opera spagnola.
Pare che, in previsione di futuri sequel, i fratelli Wachowski si siano impegnati a costruire un mondo quanto più vasto possibile, avvicinandosi in questo alla complessità delluniverso di Tolkien. Il loro castello, però, finisce per cedere dalle fondamenta, per colpa di una sceneggiatura lacunosa che fa acqua da tutte le parti. Personaggi introdotti e mai più ripresi, colpi di scena confusi e dialoghi nel complesso poco ispirati sono il prezzo da pagare per un calderone pop che se ne frega della grammatica cinematografica.
Il film non è altro che una favola travestita da epopea fantascientifica e abbellita da adrenaliniche scene d’azione in 3D. Jupiter è la principessa in pericolo, sballottata a sua insaputa da un pericolo all’altro, mentre la parte del principe/eroe dell’inespressività va a Channing Tatum. I tre fratelli Abrasax, lungi dall’essere memorabili come un Darth Vader (giusto per rimanere in tema fantascientifico), rappresentano però efficacemente cinismo di una nobiltà viziata e immortale. Come in Society di Brian Yuzna, dove una classe altoborghese venuta da un altro pianeta si nutre – letteralmente – della classe subalterna, qui è l’intera umanità a essere allevata e “mietuta” per garantire la vita eterna a una manciata di nobili intergalattici. Un’idea che, da sola, vale a risollevare la pellicola dall’abisso in cui i suoi numerosi difetti la farebbero sprofondare.
Idee, trovate originali inserite come piccole gemme nel confuso mare magnum che è il film, e che, a conti fatti, dimostrano come la fantasia sopra le righe dei Wachowski non si sia esaurita. Un film sicuramente mal scritto, grezzo nella forma, ma efficacissimo per intrattenimento visivo e freschezza di trovate.